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mercoledì 13 agosto 2014

Secondi pensieri - 184

zeulig

Corpo - La lubricità è ufficialmente interdetta, pur nell’esposizione permanente dei corpi. Siamo daccapo all’orfismo, per il quale il corpo è tomba e prigione dell’anima. Ma corpi senza corpo sono i preti, persone non disprezzabili e anche ammirevoli, che però non amano - quindi non odiano, ma questo non li scagiona.
Che corpo e anima non sono distinti, uniti solo per un po’ di tempo per caso, questa è verità che pure i preti iniziano ad accettare: funziona l’uno se funziona l’altra. Le donne liberate, invece, al corpo liberato duemila anni fa da Cristo rimettono l’armatura. Lo rinchiudono coi ragni in cantina, ogni rapporto è Sade, tutto è peccato nel corpo, anche lo sguardo. Non solo in Sicilia, c’è nel poeta Michaux: “E mentre la guarda, le fa un figlio in spirito”. Un peccato laico, con codici quindi e tribunali. O la verità che non si può dire è che nella liberazione della donna molte vergogne emergono della libertà, limiti e pieghe oscure. Per un residuo di vezzi fisici e mentali, ruoli, psicologie, ma anche per sofismi non tanto lievi. Quelli che portano alla disintegrazione anzitutto: che libertà è quella che fa scoppiare?

Dio – È bilancia. Secondo Clemente Alessandrino, Dio è bilancia. Misura cioè e numero. In questo senso lo intesero i primi scienziati, gli antichi greci e arabi, che l’idea di Dio collegarono alla misurazione degli eventi, e alle invarianti che sono sottese ai fenomeni. Il numero stesso è bilancia, cioè l’idea del calcolo, e della logica. I numeri furono calcolati dagli arabi sui patti della bilancia.

I nomi di Dio nella Bibbia, antica questione, fino ai 72 censiti dalla Cabala, fu anche querelle settecentesca, tra gesuiti e tradizionalisti. Che Maurizio Bettini risuscita - “Elogio del politeismo”. Ma da un punto di vista del tutto eversivo, sebbene a opera dei gesuiti. I quali in Cina, su indicazione del padre Matteo Ricci, avevano in uso per Dio le denominazioni locali: “Cielo”, “Sovrano all’Alto”, “Signore del Cielo”. “La querelle”, ricorda Maurizio Bettini che la risuscita in Elogio del politeismo”, p. 60, “terminò addirittura con un suicidio, quello del padre Trigault, incapace di difendere come avrebbe voluto la correttezza del termine Sovrano dall’Alto”.

Guerra – Quella di Eraclito, che si traduce madre è invece padre, polemos:  “Polemos è di tutte  le cose padre,di tutte le cose re, egli uni rivela dei e gli altri uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi”.

Oscurità – Dice molto, non solo in pittura: È il campo di esercitazione del filosofo, che sempre lo sgombera per vederselo ricostruire un po’ più in là. Talvolta più spessa di prima: ogni problema che si sviscera ne apre altri, anche più ardui.
“Die Nacht hat eine Tiefe” è titolo o motto di Jeanne Hersch: la notte è profonda. Tanto che si può dirla una chiarezza: è l’evidenza immediata. Vissuta anche, sperimentata. Più propriamente nella riflessione (filosofia). È il nostro presente, e non è priva di indicazioni. Che sta al filosofo chiarire – Jaspers avrebe detto “schiarire”, erhellen, proprio dell’oscurità.

Paternità – Inizia (e finisce?) con le “Eumenidi”? Si giudica un matricidio. I giudici sono donne, le Erinni. L’assassinio di un consegui neo è unito con la morte.  In un sistema tribale, costruito cioè sui vincoli di sangue, dei quali la maternità è l’unico riconoscibile e quindi il più forte. Ma Oreste può argomentare che la madre non è consanguinea. Il suo avvocato A pollo può sostenere che il padre è l’unica parte attiva nella procreazione. E Atena, che presiede la giuria, essa stessa non tiene conto della maternità nata senza madre.
Eschilo segna anche – anche o solo ? - il passaggio dalla società tribale a una politica. Apollo lusinga la giuria con promesse di favori e poteri. Le Eumenidi vengono sedotte e placate dalla promessa di una degna sede e offerte cospicue in Atene.

Il figlio scopre il padre ai sessant’anni. Qualche volta ai cinquanta.
 
Il patriarcato va rivisto nel nomadismo. Fa fede il ruolo dell’uomo cacciatore (procacciatore, provveditore) e combattente, ma la tribù tiene unita e individua la  maternità. Il solo legame di sangue, cioè, riconoscibile. Questo è vero e accertabile nelle formazioni nomadiche ancora attive, i rom, in vario modo. Il ruolo avunculare nell’assestamento e la successione dell’eredità, che caratterizzava l’antico Egitto, eredità delle trasmigrazioni dall’Africa Nera prima della sedentarizzazione agro-fluviale, era reperibile fino ad anni recenti tra le tribù berbere del Maghreb.

Suicidio - Pavese, che fu suicida tutta la vita, sa che è un non-vivere. All’ultimo lo scrive anche: “Ora so qual è il mio più alto trionfo: manca la carne, manca il sangue, manca la vita”. Al modo del quindicenne suicida delle cronache giornalistiche di Colette, che si ritrova in ogni famiglia: ragazzi che si annegano per un rimprovero, che si avvelenano perché privati del dessert, che si buttano dal quinto piano dopo aver litigato con la ragazza. Disperato e vendicativo, notava la scrittrice perfida, l’aspirante suicida pensa a tutto, la sedia vuota a tavola, i ninnoli imbruttiti in camera, per far rispetto - “Ha tutto immaginato, salvo che non vive più”. Questo lo sosteneva anche Yourcenar giovane: “Il suicidio è un modo di turbare il prossimo: la vittima s’insedia nella memoria degli antagonisti, che non può conquistare altrimenti”. Ma la morte cancella le persone, il ricordo è altra cosa.


Che altro dire di questi tempi sconnessi? Meglio una fine disperata che una disperazione senza fine è dialogo al cinema e bacio Perugina. Anche il suicidio è segno dell’uomo come la speranza, siamo irrequieti per costituzione.

zeulig@antiit.eu


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