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mercoledì 6 maggio 2015

L’Easy Rider del Cinquecento

Sembra un “Easy Rider” classicista, talmente è spontaneo, ma è il romanzo di Yourcenar giovane italianista ottant’anni fa, amica e corrispondente di Evola e altri sulfurei protagonisti della Roma prebellica. Rifacimento a più riprese, spiega nella dettagliata nota alla riedizione 1976, di una delle sue prime prove, “D’après Dürer”, una cinquantina di pagine, confluite nel 1934 con due prove analoghe, “D’après Greco” e D’après Rembrandt”, nel volume “La Mort conduit l’Attelage”. Residui “isolati di un enorme romanzo concepito e in parte febbrilmente composto tra il 1921 e il 1925, tra il mio diciottesimo e il mio ventiduesimo anno”. Il romanzo di due secoli, abbozzato in questa prima parte, l’unica poi compiuta, in dettaglio e nell’insieme. Con una sapienza, anche, vertiginosa: di uomini, cose, fedi, saperi, eventi, paraventi, su una tela di verità storiche bene individuate..  
Attraverso Zenone, alchimista e medico itinerante, com’era l’uso fra i giovani studiosi, Yourcenar rappresenta il Cinquecento. Il secolo multiforme e fertile a cui l’Europa deve la sua ora declinata fioritura. Lo fa partire da Bruges, suo proprio luogo di riferimento, delle memorie familiari, in assenza di una patria, fiammingo che emigra in Francia, sulla strada per Compostela, e gli fa attraversare i centri culturali e politici dell’epoca, condividendone i fermenti. Soprattutto italiani: molto Leonardo, molto Campanella, Bruno, Cardano, Della Porta, Pico della Mirandola, e altri – ha anche un parente canonico, bibliomane, che a Bruges si chiama Campanus. In una rappresentazione filologicamente accurata, mai arronzata. Compresa l’unitarietà cristiana, cattolica, del secolo, malgrado gli scismi.
Il vero Zenone fu filosofo a Elea, vicino ad Agropoli. Molto amato da Platone, che lo dice “alto e di bell’aspetto”, e “identificato in gioventù come l’amasio di Parmenide”, il caposcuola di Elea. Aristotele lo ricorda come l’inventore della dialettica. Plutarco come maestro di Pericle. Di suo, è negli annali per i paradossi sul moto: Achille e la tartaruga, la freccia, lo stadio. Nel romanzo è una spugna, ricettiva, riflessiva, del secolo spumeggiante. Ne sarà vittima, ma non è ribelle (vittimista): vive la sua libertà, è testimone del tempo.
Una lettura posata, riflessiva. Solo lievemente trasgressiva – e a patto di avere presente Sesto Empirico, gli “Schizzi pirroniani”, 170: Zenone il filosofo aveva in grande stima egiziani e persiani perché sposavano le sorelle e le madri. C’è un incesto nella sessualità indistinta e pervasiva di Yourcenar? Crebbe col padre dorato, la madre essendo morta partorendola. Zenone è personaggio inventato, avverte la nota 1976, un nome tratto da Montaigne. In Montaigne ricorre, 1168, in questi termini: “Si dice che Zenone ebbe a che fare con una donna una volta sola nella vita, e per urbanità, per non sembrare disdegnare troppo ostinatamente il sesso”.
Un’epoca recente che sembra remotissima. Quella di Yourcenar, non il Cinquecento: ancora vent’anni fa si gustava Yourcenar, oggi solo parlarne è una bizzarria – “leggi ancora Yourcenar?” Molto si è formata su Walter Pater, “Mario l’epicureo”, e i “Ritratti immaginari” – un’ascendenza che critici e biografi omettono: qui si vede. Su Maeterlinck ovviamente, la sensibilità umbratile, i personaggi allusi più che contornati. Ma soprattutto con D’Annunzio: tutto li lega, il gusto classico, la lingua, il modo di vita, il cosmopolitismo, la sensualità coltivata – solo temperata in Yourcenar dalla frugalità americana dell’età matura.
Marguerite Yourcenar, L’opera al nero

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