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lunedì 18 luglio 2022

Budda non salva la scrittura automatica

Cinque taccuini di “scrittura automatica”. Che Ann Charters, la studiosa di Kerouac, dice scritti così: “Era solito accendere una candela e starsene seduto tranquillamente a trascrivere i suoni che venivano dalla finestra”, Kerouac viveva allora col poeta e buddista Gary Snider in una baracca, nella campagna fuori San Francisco, “prima di rivolgersi alla propria interiorità e buttare giù pensieri e immagini mentali”. Un guazzabuglio., parole in libertà – ed era edito negli Oscar.

Non c’è niente di edito del genere, se non forse l’ultimo Joyce, “Finnegans Wake”. Che però era un progetto, la confusione delle lingue – delle tante lingue che Joyce in qualche masticava. Il traduttore, Luca Guerneri, lo sa, che precisa: in “Finnegans Wake” “l’autore garantiva di poter giustificare ogni scelta lessìcale”, qui è “il linguaggio che insegue se stesso, si incanta su se stesso, si fa mantra che frantuma il senso in suono, parola che insegue un suono”.

Buddha c’entra. Charters ricorda che “al 1° aprile 1956 sono ormai cinque anni che Kerouac lavora su testi di scrittura spontanea”, reduce da sei romanzi, una racconlta di poesia (”San Francisco Blues”), e un libro di scritture buddiste (“Dharma”). Qui Budda ricorre a ogni pagina, Guerneri lo spiega in nota con i riferimenti. 

Un doumento d’epoca. C’è anche “Volare” – “che cos’è l’azzurro, volare” – che Modugno cantò a Sanremo nel 1958. Non se ne salva niente.

Jack Kerouac, Vecchio Angelo Mezzanotte

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