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La liberazione del piacere femminile
“Mi
sono presi tutti i piaceri”, Modesta lo dichiara prima di cominciare. Piccola capraia
indocile violentata dal padre dà fuoco alla casa, e il maresciallo la confida,
povera orfanella, alle suore. Sarà la beniamina della bella e nobile badessa, e
sua erede in caso di morte. La badessa muore veramente, spinta da Modesta?, e
le porte della magione principesca le si aprono. Questo nei primi dua episodi, tra
autoerotismi e toccamenti saffici. Molto di più si dovrebbe vedere nei prossimi
quattro della serie.
Una
storia difficile, scritta e riscritta da Goliarda Sapienza negli anni 1960-1970,
per una dozzina d’anni, pubblicata postuma trent’anni dopo, in edizione ridotta
e alla macchia, da Stampa Alternativa, che non aveva distribuzione. Ritornata
in Italia dopo ancora una quindicina d’anni, dopo la traduzione e il successo
in tedesco. Il femminismo sboccato della favola, in un convento di suore, ne ha
a lungo pregiudicato la diffusione – tra i rifiuti c’è pure quello della
Feltrinelli.
Una
satira, in forma di rivendicazione. Una Modesta piromane, avvelenatrice,
castratrice, ingrata, vendicatrice, libidinosa, calcolatrice sempre. Per un’innocenza
perduta presto, sotto genitori violenti? Incarnazione del primo femminismo,
molto “maschilista”.
Una sorta di
manifesto, come usava negli anni in cui Sapienza concepì la storia – usavano
“manifesti” di castrazione maschile, etc.
Golino segue il romanzo,
ma con una punta di perfidia, quasi sadica. Tecla Insolia, che pure sembra giovanissima, regge il tutto da superstar: per ogni scena, per quanto avventata, trova una espressione giusta, convincente
Valeria
Golino, L’arte della gioia, Sky Cinema
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