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martedì 19 febbraio 2008

L'Olocausto è (colpa) di molti

Alberto Melloni riapre il dossier delle responsabilità indirette dell’Olocausto, riprendendo la figura di Rudolf Vrba. Morto poco meno di due anni fa a ottantadue anni, Vrba, pseudonimo di Walter Rosenberg, continua a subire “la rimozione dalla scena culturale e storiografica israeliana”, pur essendo stato il coautore, con Alfrèd Etzler, di una coraggiosa e riuscita fuga da Auschwitz nell’aprile del 1944, e di una dettagliata testimonianza dello sterminio, subito diffusa negli ambienti ebraici, tra i servizi segreti, nelle ambasciate e nelle cancellerie. Vrba è cancellato nella Memoria perché convinto che il quasi mezzo milione di ebrei ungheresi avrebbero potuto evitare la deportazione e lo sterminio – come poi avvenne, quando la denuncia fu pubblica, ma ne beneficiarono in pochi - se gli ambienti ebraici ungheresi avessero denunciato il genocidio invece di negoziare con Eichmann.
Melloni solleva il problema evitando il giudizio, anche storico. Riconsidera il coraggio di Vrba, facendo seguire a “I Procolli di Auschwitz”, la memoria di una quarantina di pagine stese con Wetzler dopo l’evasione, un capitolo dei ricordi pubblicati prima di morire, “I escaped from Auschwitz” – il libro non è tradotto, ma il personaggio è certo romanzesco. Assume però una linea neutra, quella della “introiezione del male” che Hannah Arendt dice la maggiore perfidia del nazismo. “La vicenda dei protocolli di Auschwitz”, scrive lo storico, della loro sottovalutazione cioè e dell’ostracismo a Vrba nella sua lunga vita e anche dopo, “è esemplare di uno dei grandi nodi della Shoah: la coniugazione fra storia e memoria, ra azione e inazione, fra percezione e gesti, fra perpetrazione dei crimini e pragmatismo del soccorso in una vicenda che rende l’uno incompatibile con l’altro. Insomma tutto quel tessuto umano che la soluzione finale voleva distruggere e ha effettivamente distrutto, al pari delle vite dei milioni di vittime”.
Le corresponsabilità dell’Olocausto, così come in generale della deportazione e lo sterminio delle popolazioni soggette, polacchi, ucraini, russi, sono argomento rimosso, se si eccettuano gli attacchi al papa e al Vaticano di polemisti e storici evangelici e ebraici. Una “Nota alla lettura” che Melloni interpola tra la sua introduzione e “I protocolli” documenta che la realtà dello sterminio molto si seppe subito, anche se non tutta. Ma la cautela in argomento degli studiosi pareggia quella degli Alleati e delle istituzioni terze nella guerra: non più di due o tre studi sono repertoriati. Gli Alleati decisero di non bombardare la ferrovia di Auschwitz, come Vrba chiedeva – che poi servì tra l’altro alla ritirata dei tedeschi, e all’avanzata dei russi. Dei campi di sterminio si cominciò a parlare nel 1946, per il processo di Norimberga. I russi, che avevano liberato Auschwitz a fine gennaio 1945, ne parlarono a maggio. E come tutti fino ad allora, evitarono di menzionare gli ebrei.
Rudolf Vrba (con un saggio di Alberto Melloni), I protocolli di Auschwitz, Bur, pp.157, € 8,60

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