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sabato 31 gennaio 2009

Non si può dire ma è bancarotta

Sarà detta la crisi del silenzio: è la novità di questa crisi, pure così profonda e manifesta, far finta di nulla. Lo stesso teatrino di Davos, dei grandi interessi, non se lo nasconde. Ma si vuole che il silenzio sia arma migliore contro la crisi. Come se la crisi fosse di fiducia e bastasse rassicurare i consumatori.
Il morbo inglese
Ci sono già sette grandi falliti in Europa, otto con Londra. Col Giappone che per la prima volta va in rosso, e manda in rosso le miracolose Sony e Toyota. Mentre gli Stati Uniti, il motore dell’economia globale, dove la produzione è un buco nero, stanno in piedi per il miracoloso Obama. Per lo svuotamente di quasi tutte le grandi banche, tra mutui e futures. E perché quella dei mutui non è una questione tecnica: la partita di giro immobiliare è quella ce tiene su tutte le economie, in tutti i settori, finanza, industrie (edilizia e tutti i materiali, edili, mobili, infissi, arredamento), commemrcio.
Sei paesi sono tecnicamente falliti, Islanda, Irlanda, Grecia, Ungheria, i paesi baltici. La Gran Bretagna è più solida ma non se la passa meglio. La sterlina è ai minimi, e ci sono liti per un posto di lavoro, la guerra agli italiani della raffineria non è jingoismo. La situazione è tanto più preoccupante in quanto il governo britannico non conta nulla: il primo ministro Brown, che a settembre aveva rimproverato il ministro del Tesoro americano Paulson per l’insufficienza del piano di rilancio dell’economia, ha speso tutto senza ottenere niente.
Presi i soldi del governo per evitare il fallimento, la Royal Bank of Scotòland fa campagna contro lo stesso governo, che non si impicci – una banca che era riuscita a fare un debito di duecento miliardi di sterline, in un solo anno!, solo due anni fa, quando già i mercati scricchiolavano. Si dice il sistema finanziario europeo relativamente al riparo dalla bancarotta americana, ma ciò non è vero, perché Londra è in Europa. Rbs, per dire, infetta le banche olandesi, e tutte insieme infettano la Germania e l’Italia. Ma in Europa soprattutto lo stordimento è forte, e la reazione lenta, e inadeguata: Bruxelles aspetta i governi, i governi aspettano Bruxelles, e dopo è tardi - già ora lo è.
Istituzioni dannose
Piace dire che questa crisi non sarà come le altre perché le istituzioni ne hanno coscienza e sono attrezzate. Ma è vero in parte, le istituzioni sono inerti. Impacciati gli Usa, per il passaggio dei poteri, e per il bisogno del neo presidente di caratterizzarsi politicamente - Obama per ora pensa ai poveri e non all’economia. Del tutto inutili, e forse dannose, le istituzioni europee, la banca centrale e la commissione. Come già in Giappone negli anni 1990 la Bce dimostra l’inutilità della politica monetaria basata sul tasso di sconto quando le banche sono tecnicamente fallite. Con un patrimonio cioè che ogni giorni si assottiglia di fronte all’inesigibilità del cattivo credito da esse stesse alimentato. Ci vollero dieci anni per l’economia nipponica per guarire, salvo ricadere nella stessa malattia dieci anni dopo, e non di meno ci vorrà per gli Stati Uniti e per l’Europa.
Il sostegno del reddito non è la social card
In Italia la crisi è come tutto, Eluana, Villari, le piogge, un fatto di potere. La spaventosa soluzione di Alitalia getta brutte ombre sul comparto meccanico. La Fiat lo sa, che cerca la salvezza nel mercato più difficile, gli Usa. Gli Elkann-Montezemolo hanno a lungo contestato Berlusconi, e Berlusconi cerca la sua piccola vendetta, e questo è tutto. Tremonti ha delle idee, e a quanto ha detto finora (piano europeo, bad bank, ricapitalizzazione delle banche) anche molto buone. Ma non può applicarle all’Italia perché con può intervenire sull’industria, per lo scoglio Fiat. Trecento milioni sono nulla. In ritardo sugli altri paesi europei, e dopo che le vendite di gennaio si saranno dimezzate rispetto a quelle, già non alte, di un anno fa, e anche febbraio sarà stato compromesso. Non si fa, il Capo non vuole. E comunque si prospettano cifre irrisorie, da social card, quando la Germania di Angela Merkel ha stanziato già un mese fa 1,5 miliardi per i soli acquisti di auto nuove. Nel quadro di un pacchetto di stimolo di cinquanta miliardi. Con altri due miliardi a garanzia dei debiti Opel. E addirittura ipotizza la crisi come una possibilità di moltiplicare la presenza tedesca sui mercati mondiali. Politicanteria da tempi di crisi, ma è un linguaggio che può permettersi, poiché decide e agisce. Mettendo comunque in costituzione un tetto dello 0,5 per cento del pil all’indebitamento pubblico ogni anno. Grazie al ripianamento, dopo vent’anni, del debito della Germania Est.
Consolidare il debito
Nulla del genere può permettersi l’Italia. Ma il tempo sarebbe maturo, e la crisi propizia, a una qualche forma di consolidamento del debito, senza la quale l’Italia non potrà mai sopravvivere e rilanciarsi, meno che mai in una crisi mondiale così grave. Con la crisi che durerà dieci anni non c'è altra remissione possibile dal debito, e talvolta conviene anticipare le soluzioni - giocare di anticipo. Roba da vero governo, quindi fuori dal dibattito di idee, nonché dalla cose da fare. Ma pure sull’ordinaria amministrazione il governo vivacchia, preso dalle intercettazioni, da De Magistris e da Villari.
Non si interviene sul reddito, se non per le cifre ridicole della social card, e non alla produzione. Si parla di restrizione ulteriori ai pensionamenti mentre invece la previdenza sarebbe utilissima come sostegno al reddito: più pensionamenti, anche a condizioni di minor favore, senza divieti di cumulo dei redditi, per liberare risorse nelle imprese, e lavoro giovane.

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