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martedì 27 gennaio 2009

Strade piene di sogni, verso la guerra

C’è voglia di divagare, una nota insolita in Jünger. Che passa a Karlsruhe, quando inizia lo sfondamento della Francia, un mesetto allegro, come non succede mai nei suoi libri, con belle signore e ragazze facili. E pomeriggi lievi con la divorziata madame Cécile a Bourges, in conversazioni futili tra le rovine dell’occupazione. Per una “calma della salamandra” impensata anche per questo scrittore riflessivo, tra le consuete “cacce sottili” o “cacce al tesoro” di insetti, e le passeggiate, a piedi e a cavallo. È in certo senso “il libro”, ben esplicito, di un autore che si vorrebbe indecifrabile: è un letterato e un esteta, le sue cacce entomologiche comprese.
Jünger vi si rappresenta in un “diario”, genere che nella prefazione alla riedizione del 1979 troverà non a sorpresa dilagante, ma che già quarant’anni prima la catastrofe incombente predilige e quasi impone. Il diario lo accompagna nei quindici mesi in cui la guerra si prepara e la disfatta della Francia si realizza, eventi drammatici e tuttavia di sfondo, remoti. Anche materialmente: a Laon, dove trova “la raffinatezza nella gioia di vivere quale non si conosceva più da tempo in Germania”, tra le cattedrali, le cantine e gli archivi, trova anche le carte delle origini della Francia colpevolmente abbandonate. E questa è la traccia maggiore della guerra nel diario, insieme con le masse di sfollati e i villaggi abbandonati all’ora del pranzo, con le tavole apparecchiate. La guerra personale del capitano di fanteria Jünger si svolge nelle aree contigue al fronte, e in quelle “romane” del vino, la Mosella e la Champagne, e viene fermata in un ampio semicerchio che chiude Parigi a Est, a mezza giornata di marcia dalla capitale, tra Soissons e Bourges.
La traduzione di Alessandra Iadicicco rende la lettura dell’irto Jünger specialmente scorrevole, ed è il merito maggiore di questa edizione. Che completa il ciclo delle “Strahlungen”, irradiazioni, sei diari di guerra, per il resto già pubblicati da Longanesi una quarantina d’anni fa, e riediti da Guanda nel 1993, sempre nella vecchia traduzione di Henry Furst. Un completamento che avrebbe meritato miglior cura (un cenno sull’autore e sul libro, delle note ai nomi, il magister di Segesta, Friedrich-Georg, Spinelli, Paul Gerhardt, solo di kniébolo si spiega che era Hitler, e anche un itinerario sarebbe stato utile). “Giardini e strade”, che copre il periodo dal 3 aprile 1939 al 24 luglio 1940, si pubblica separatamente perché è stato concepito separatamente. Era già pubblicato nel 1941, e tradotto in francese nel 1942, mentre le altre cinque parti del diario sono state concepite successivamente, coprono l’occupazione a Parigi e la sconfitta, e sono state pubblicate nel 1948, dopo la riabilitazione dello scrittore.
Le altre parti hanno caratteristiche diverse, il genere “mosconi” che fa tanta letteratura di Parigi. Sono una galleria di personaggi, indiscrezioni, pettegolezzi, e di cenni sempre paradossali, per forza di cose non diaristici, ai fatti importanti – il paradosso è sempre pieno del senno di poi. “Giardini e strade” è diario più verosimile, anche per i tempi di pubblicazione. Jünger lo concepisce e lo realizza come presa di possesso di sé. Delle propria identità, di quello che è o vorrebbe essere, nel momento in cui la pace crolla apertamente, per una guerra incondizionata, quindi comunque devastante. È anche un diario del più puro caratteristico. Un Jünger d’annata, come spesso egli stesso dice in queste pagine delle cantine abbandonate dai francesi sfollati. In realtà un libro scritto con molta economia, non solo per la censura. Non a caso, forse, “Giardini e strade” le grandi catene librarie collocano nel comparto Filosofia, non si legge come una Sabine Meyer, di cui è meglio non sapere nulla. Il viaggio è soprattutto nel ricordo. Nella Grande guerra, che sarà stata l’esperienza di vita di Jünger. Con dispendio della Marna, talvolta a sproposito – il “ponte sulla Marna” di Chatillon, per esempio, che dovrebbe essere semmai sul Loing, o sul canale di Briare, incongruenza che la traduttrice risolve la traduzione a “il grande ponte” – anche se non c’è un grande ponte a Chatillon-Coligny.
È questo anche uno dei primi testi di cui la materia si vogliono i sogni, esumati e elaborati nel diario, o uno di quelli che più estesamente vi ricorre. In funzione non terapeutica ma profetica, nell’ambiguità generale della mobilitazione di Jünger nella Guerra Totale e Finale. I sogni sono parte importante dei “Diari” di Jünger. Della nonna paterna in particolare, con la quale ha fatto per anni “sogni strani”, raccontati nella raccolta "Nelle case dei morti”). I sogni si collegano a uno dei temi jüngeriani, il Regno delle Madri: la preminenza delle figure femminili (la madre, la nonna, la bisnonna) che lo inquieta: “Evoca l’antica Gaia, che non è sempre molto rassicurante”. Si sa: “Il campo delle madri si dispiega su un vasto orizzonte, dalle Erinni alla Santa vergine – e sempre si ritrova il serpente”. Ma sono la parte inerte del libro.
Qui bisogna intendersi sulla natura del sogno, il cui stimolo non supera la mattinata. Il sogno raccontato di Baudelaire. E quello analitico del surrealismo. Non il sogno premonitore o profetico dei santuari greci e della Bibbia. Sia i sogni che i racconti dei sogni non hanno proprietà affabulatoria. Non riescono, con tutta l’estro di Baudelaire e di Freud, a prendere vita - o a causa di Freud. La casuale rilettura in contemporanea di “L’insostenibile leggerezza” di Kundera, un altro falso diario in cui si fanno molti sogni, ne esaspera l’inconsistenza e l’irrilevanza, anche a fini evocativi, d’immaginazione. Inerte è lettura dei sogni imperante, peraltro, da una parte e dall’altra: da parte di chi i sogni li legge con Freud, e di chi, ancora, con Artemidoro, e la vaga scienza delle costellazioni e congiunzioni astrali come si sottintende in Jünger.
Qualcosa si può aggiungere al non detto di questa edizione. La prefazione all’edizione del 1979 accentua il tono anti-hitleriano di “Giardini e strade”: “All’epoca, mi dilettavo a comporre un certo genere d’immagini a doppio senso per far comprendere la situazione ad alcuni uomini – o a quelli che intendevano restare tali”. Tono che invece non c’è, e non ci poteva essere. Kniébolo per esempio non c’è nella prima edizione del 1941. Il libro non fu riedito in guerra, perché Jünger non volle omettere la citazione del salmo 73, “Perché i giusti soffrono” (di cui sta facendo spreco a motivo della crisi), e questo è più plausibile – anche se a fine 1942 si pubblicavano pochi libri, eccetto quelli per le truppe, la carta era già preziosa. E tuttavia la prefazione è importante per definire la posizione dei rivoluzionari conservatori alla Jünger nel nazismo e nella guerra.
Il mistero della Resistenza tedesca, che fu la più ampia e la meglio organizzata fra tutti gli antitotalitarismi in Europa, “è la poesia”, spiega Jünger nel 1979. Che può sembrare di parte, e anzi una mozione degli affetti, ma non lo è. Si può sorridere, ma poi la “natura artista” della Resistenza militare tedesca, di Speidel, di almeno uno degli Stulpnagel, è vera, è concreta. Ci voleva un Silla, aggiunge Jünger: “Senza un Silla qualsiasi attacco alla democrazia plebiscitaria avrebbe avuto necessariamente come conseguenza un rafforzamento dell’abiezione”. Dove inquietante è non tanto la pezza giustificativa, perché non abbiamo abbattuto Hitler, quanto l’accenno alla “democrazia plebiscitaria”, cioè al legame non più tanto segreto tra totalitarismo e democrazia. Questo Jünger sarà importante nella scoperta della Resistenza che la Germania viene compiendo, ora che non ha più paura di Stalin e i suoi epigoni. Il Silla di Jünger era peraltro Rommel, e allora è proprio vero, la Resistenza tedesca era del genere “artista” - il meglio che si può dire di Rommel è che era un farfallone. È una strana guerra, drôle de guerre, anche quella dei tedeschi alla Jünger. Che, sebbene nazionalisti e conservatori, la temono e la avversano. Ma, sebbene abbiano posizioni pubbliche e anche militari, la avversano in privato.
Jünger è stato denazificato dopo la sconfitta. Ma solo per essere amico di Carl Schmitt. Nella sua sterminata produzione non ha un rigo di antisemitismo, o di oltranzismo nazionalistico. A differenza, per dire, di Thomas Mann. Sarà l’autore sul quale ricostruire l’identità della Germania durante e dopo Hitler. Anche per la questione della pavidità, o prudenza che sia
Ernst Jünger, Giardini e strade, Guanda, pp. 210, € 18,50

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