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martedì 28 aprile 2009

La modernità di Simone Weil

La modernità è la tradizione. Non c’è futuro senza radicamento.
Due terzi del libro, che forse per questo non ha avuto fortuna e ora si riedita, sono presi dalla sradicamento, della città, della campagna, della patria. Nell’ottica della sconfitta e della difficile resistenza a Hitler, da New York dove la filosofa si era rifugiata e poi da Londra, dov’è morta di tubercolosi, cioè di debolezza, nello stesso 1943 in cui febbrilmente scriveva. Questa parte contingente ha forse segnato il destino di un libro che invece si rilegge come una colossale costruzione etica. Le pagine ancora più vive della filosofia del Novecento sul modo di essere dell’uomo nella natura e nella storia.
Numerose ne sono le tracce, storiche e di pensiero. Più vive perché inesplorate. L’eredità arida della romanità, dell’imperialismo feroce, rilevata nei danni persistenti alla religione, la scienza, l’assetto sociale (legge, giustizia, potere, o sovranità). In filigrana, attraverso gli accenni degli storici greci schiavi dei romani. E con tagli vigorosi al conformismo: la sterilità della forza che tradisce la forza, a causa della schiavitù (possesso) come ragione di vita, annientando la religione e la vera cultura – la ricerca.
Il genio puro. La storia impura. La virtù che s’insegna ma non si pratica, non in un solo episodio della storia, eccettuati tre o quattro.
L’argomento centrale della fede che è scienza. La scienza greca, la nostra scienza – “l’investigazione scientifica non è che una forma della contemplazione religiosa”.
La religione della domenica, svuotata dallo scientismo. Che pure è piccola cosa.
La natura del miracolo.
La Provvidenza generale, impersonale, sui buoni e sui cattivi (Matteo, Marco) e la miserabile Provvidenza speciale, degli ex voto, dei calciatori quando entrano in campo, dei calciatori quando segnano un goal, e di Manzoni - “ogni interpretazione provvidenziale della storia è di un grado eccezionale di stupidità”.
Il mondo determinato dalla perfetta obbedienza: è questo il senso della fede, e la via della scienza.
Qua e là la rilettura dell’hitlerismo, che troppo ritarda.
La vera psicologia, la vera sociologia, che introiettano la necessità del lavoro e della morte: “Le forze di quaggiù sono sovranamente determinate dalla necessità; la necessità è costituita da relazioni che sono pensieri; di conseguenza la forza che è sovrana qui è sovranamente determinata dal pensiero. L’uomo è una creatura pensante: è dal lato di ciò che comanda alla forza”.
Simone Weil, La prima radice, SE, pp.288, € 24

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