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sabato 2 maggio 2009

Scudéry, bugiarda antenata di Proust

La menzogna è maschio in francese, ma ne trattano qui sensibili signore, con l’ausilio di La Fontaine, Pellisson, Sarrasin - il titolo d’esordio di Madeleine de Scudéry è peraltro “Lettres masculines”. Concludendo, come si deve, in favore della verità, “anima della probità”. L’anima della clarté, quale si vuole la Francia. “E tuttavia”, dice l’autora, “ci sono più mentitori di quanto credessi”. Ce n’è che si inventano: inventano titoli di nobiltà, relazioni importanti, influenze, ricchezze, e gli anni. Perché il paradosso del mentitore (tutti i cretesi sono bugiardi, dice Epimenide cretese) è anche quello della verità:
“- Se si stabilisse una volta la verità nel mondo, riprese Plotina (l’autora), non vi si direbbe quasi più nulla di quello che vi si dice.
- Ciò significa, ribatté Amilcare (Jean-François Sarrasin), che non bisogna fidarsi troppo delle vostre parole”.
Il tutto nel deserto delle passioni. Oggetto unicamente, allora e dopo, di dissezione, all’ombra della fatale raison cartesiana, “il più radicale misconoscimento della poesia che s’incontri nella storia del pensiero umano” (G. Gentile).
Mademoiselle de Scudéry si dedicò in vecchiaia (morì a 94 anni), quando i romanzi non andavano più, al genere gossip si direbbe oggi, delle varie moralità, pubblicando cinque serie di “Conversazioni” su argomenti disparati – in buona parte estratti dai suoi voluminosi romanzi di dodici e passa tomi. Animando un suo proprio salotto, in parte autonomo da quello di Rambouillet, che è il prototipo di tutti i salotti letterari, al quale La Fontaine e gli altri facevano capo.
Madeleine de Scudéry è il modello delle “preziose”, le donne intellettuali che Molière ridicolizzò. Che però furono centrali, si direbbe oggi, per l’instaurazione della letteratura francese, la scrittura e lo spirito Francia che conosciamo - la “preziosità”, notava Barthes, benché seppellita da Boileau, Molière e La Bruyère, fa la letteratura del Seicento, “se nel 1663 una raccolta di poesie galanti della contessa di Suze aveva avuto quindici ristampe di tomi multipli” (la contessa, nipote dell'ammiraglio Coligny, aveva anch'essa un suo proprio salotto, oltre a frequentare Rambouillet). La breve introduzione di Sylvie Robic ribalta un mondo, la proiezione della modernità centrando in Francia sul secondo Seicento, prima e più che sul Settecento. E introduce nello stesso spirito ottimi neologismi piani nel vocabolario di genere, quali autora e scrittora, auteure, écrivaine - il francese non ha scrittrice né autrice, a tre secoli dalle non ridicole “preziose”, del cui senso pratico c’è dunque sempre bisogno, per quanto anticonformista.
Degno di nota, benché Robic trascuri totalmente il fatto, è che il rinnovamento francese fu opera di una coscienza critica, nonché femminile, italiana di origine. Tre italiane fondarono infatti e presiedettero il famoso hotel di Rambouillet: il fatto era sottolineato a fine Ottocento da J.E.Spingarn, lo studioso americano che, in "A history of literary criticism in the Renaissance", illustrò nel 1899 il ruolo tutto italiano nella nascita della coscienza critica. Le tre dame erano Giulia Savelli, sposata al marchese Pisani de Vivonne, italiano di origine ma diplomatico francese, la loro figlia Caterina de Vivonne, nata a Roma, marchesa di Rambouillet per matrimonio, e Maria dei Medici, che volle nel palazzo del Lussemburgo lo stesso salotto (una sfilata di saloni) della marchesa di Rambouillet. L'hotel di Rambouillet era in realtà palazzo Pisani, vicino al Louvre, dove ora è il Palais Royal. Ancora Proust sarà deluso, essendo andato alla ricerca delle sorgenti della Vivonne ("una specie di lavatoio quadrato da cui montavano delle bolle"), ma in senso metaforico sbagliava - non ci sarebe stato Proust senza Scudéry.
Madeleine de Scudéry, Du mensonge, Rivages, pp. 95, €6,60

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