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sabato 9 gennaio 2010

Letture - 23

letterautore

Biografie – Sono, anche se critiche, agiografie. Non si scrivono vite di personaggi ininfluenti. E comunque il genere porta sempre a magnificare il soggetto, ancorché modesto. Al cui confronto gli altri, ancorché grandi, vengono ridotti al ruolo di figuranti. Peggio, pezzi di un collage.

Chatwin - È di lievità femminile. Per avere appreso da Magdalene Clapp il “taglio” della scrittura?
L’incanto deriva dall’incrocio fra la notazione lieve e le tematiche maschili, l’avventura, il potere, la menzogna, la fatica di vivere.

Dante – È “duro” e non amato perché ne sa di più? Ne sa di più, del cielo, della terra, dell’amore, degli amanti, dei santi, di Ulisse, della grammatica e della teologia.

Giallo – È una vicenda che ha una soluzione, è qui tutta la sua attrattiva. Anche nella derivazione noir: bene o male un cazzotto il buono riesce a darlo, una mazzata, una pugnalata.

In italiano ha il problema del lieto fine,che dev’essere a coda di pesce, moscio. Da “Promessi sposi” o da commedia all’italiana, coi dolenti vinti, la cattiva provvidenza, il cinismo della rassegnazione. Il giallo vuole la provvidenza provvida.
E come c’è un giallo – una vicenda che ha una soluzione – in una società cinica?

Quello italiano dovrebbe essere nero. Pieno cioè di delitti senza fine. Nel giallo classico il delitto è un pretesto per il gioco dell’enigma e dello svelamento, e può perfino non esserci. Non esiste del resto nei paesi del giallo classico, Inghilterra, Francia, Stati Uniti, un delitto politico così misterioso (“fiorentino”, “machiavellico”) come in Italia, né così sfrontato come quello di mafia. Quando hano dovuto mettere in scena delitti di questo tipo, che sono cioè e non sono fuorilegge, nel senso che restano impuniti, evitano il giallo, che la punizione esige, e devono ricorrere (Stevenson, Collins, la Radcliffe, lo stesso Conan Doyle, Chesterston) a “italiani”. Carbonari, killer, membri di sette segrete.

Nell’antologia dei pezzi archetipi del giallo di Del Buono manca il principale, la Sfinge. Il giallo classico è un indovinello. Il thrilling (frillo) del giallo è in questa piccola sfida, o competizione con l’autore che muove i fili e dissemina le false piste. Piccola sfida, atta a molcire i nervi invece di un eccitante-rilassante chimico.
Ogni enigma partecipa del Grande Mistero? Dipende dalla forma. Il giallo tende a “segare”quel tipo di cose, con ambienti, situazioni, personalità peculiari, cioè anomale. Per un bisogno di ordine – per ristabilire con la soluzione l’ordine.

Hölderlin – Un matto che vive sul fiume, per trentacinque anni, non è possibile: si sarebbe lasciato andare. E la grafia ferma, le abitudini consolidate, la capacità di esprimersi? Sempre più misteriosa, come di chi volesse nascondere volutamente.
Anche “Iperione” è misteriosa. È l’indicibile l’omosessualità?

È la germanicità: magia, cameratismo, socievolezza misantropa, pressione nervosa, culto del sublime. L’assoluto inconsistente della Traümerei: la caligine del Nord col sole renano, l’estremismo luterano con l’accomodamento pietistico, la filosofia con la poesia, la birra col vino – si fa poesia col vino, si filosofa con la birra?

Italiano – Non sopporta le lungaggini, ma gli piace essere lungo. Involuto. Disquisitivo.
È leguleio? I romani erano legisti.

Ha meno finezza, tanto più per essere lingua neolatina, dell’inglese per esempio, in rapporto alla precisione del latino: non ha i due nipoti degli zii e dei nonni, che l’inglese invece ha mantenuto, ha annacquato e confuso la genitorialità (i parenti, per esempio), non ha mantenuto il neutro, che è invece (si riscopre) dominante, non ha il genitivo, possessivo e non.

Moravia – Di singolare mancanza di curiosità. Incontrato tre volte nel 1976, aveva quindi ancora 65 anni, per una trasmissione Rai riparatrice sull’Iran, per le sue letture sull’Arabia Saudita, a poche settimane di distanza, non mostra alcun segno di riconoscimento. Benché il consiglio sulle letture fosse da lui richiesto, e la trasmissione si facesse per rimediare a un suo errore di giudizio. Singolare anche la sua povertà di fantasia nel primo incontro a distanza quindici anni prima, alla Casa della cultura di Firenze, sull’italiano e i dialetti – in tandem, è vero, col tassativo Pasolini. Proprio romano, per l’indifferenza, o l’insofferenza. Ma senza la grazia del romano, né la bonomia.
Uno dei pochi scrittori di mentalità urbana.
Personaggio tuttavia scadente, o incerto, malgrado la grande cultura, la capacità di scrittura, l’autorevolezza. Le due volte che venne a “Repubblica”, ansioso di farsi intervistare per i suoi settant’anni, e nonché non mostrare un barlume di “questo qui l’ho già visto” mentre chiede della Balbi, si lascia insolentire dalla stessa Balbi e da Scalfari, che lo trattano da rincoglionito per avere sbagliato l’appuntamento. E se ne accorge, si vede, ma fa finta di nulla.

Novecento – Quello letterario è una curiosa riedizione del formalismo del Seicento - sebbene testimone di eventi eccezionali e mostruosi: le due guerre, l’atomica, l’ombrello atomico, gli stermini, di armeni, kulaki, ebrei, slavi tra di loro, e un benessere impensabile. La letteratura e l’arte ci hanno viaggiato accanto privilegiando i problemi di espressione: le avanguardie, lo strutturalismo (formalismo) russo e francese, la nuova retorica dei semiotici, da Sklokskij e Jacobson a McLuhan e Barthes, le infinite derive poetiche del simbolismo (romanticismo, che ben sapeva la “natura” della natura).
Il dramma privilegiato della Zeitkultur è la psicanalisi. Psicanalisi come freudismo, cioè un ritorno, ritorno allo stato prenatale, e come junghismo, cioè un recupero del fantastico, ancora e sempre, malgrado lo scientismo, romantico. E la filosofia della crisi, maxime Heidegger, un’implosione allo stato infantile, una scoperta a tastoni e a gattoni dell’esistenza e lo spazio, gentile e incerta. Nella Zeitkultur non mancano le novità, la tecnica, la democrazia, il neo positivismo logico, o neo razionalismo. Ma sono rifiutate. Rompono l’hortus conclusus del formalismo, sono elaborate e pensate in maniera e misura insufficienti (Popper no, ma… ), oppure non sono abbastanza consolatorie? L’effetto del formalismo, sotto l’apparente disperazione, in omaggio all’epoca, e la “ricerca” affannosa, tutto è ricerca, è la chiusura in se stessi. Nel circolo, nel gruppo, nella comunità d’interessi. Che si presenta come rifiuto, e resistenza (al capitale, allo sfruttamento, alla modernità “disumana” – Pasolini), ed è una forma di autoreferenzialità, di consolazione.

Romanzo – È il genere che non è italiano, oppure non lo è come tutto ciò che è italiano, subisce la marginalizzazione (in buona misura auto-) in atto da un paio di secoli, da quando l’Italia letteraria si è infeudata alla Francia? Il genere è sostanzioso in Italia, in versi e in prosa: romanzi cortesi, Boccaccio, Boiardo, Ariosto, Tasso, Merlin Cocai, Basile, romanzo barocco… Perché celebrare Mme de Tencin e ignorare i suoi maestri italiani?

È la Rivoluzione Letteraria del Terzo Stato per Giacomo Debenedetti, “Svevo” dei “Saggi critici 2”. E quindi è grigio, com’è grigia la vita dei borghesi. Fenomenale! È nata da qui la “morte del romanzo”? Ancora più fenomenale! E di che colore è la vita del popolo, che si era appropriato il genere già nei tempi bui, seppure analfabeta? E dell’aristocrazia, quando è curiosa e non annoiata?
Di che colore è la vita dei letterati, e degli stessi interpreti del profondo, filosofi e critici?
Il romanzo è l’unica forma di letteratura popolare: l’affabulazione libera, senza metrica né morale, anche semplicemente orale. La borghesia l’ha operosamente arricchita, com’è suo costume, fino al ricamo e all’effimero, Joyce, Proust.

letterautore@antiit.eu

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