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mercoledì 4 agosto 2010

Chi ha (aveva) paura dei pentiti?

Undici anni fa, il 4 agosto 1999, presidente del consiglio D’Alema, l’agenda politica era la stessa di oggi: giusto processo, riforma federalista, un altro pentito (poi dissoltosi) contro Dell’Utri (di cambiato c’è solo Violante), la riforma dei “pentiti” (dichiarazioni, protezione, etc.), Bologna:

“Tra l'opposizione che non spinge per la riforma della legge e il governo che rinvia, chi ha paura dei pentiti?, scrivevamo. «Parliamo di giustizia solo quando i Ds ci dicono che bisogna parlarne», ha detto il ministro Zecchino, Popolare, al “Corriere della sera” in una rara intervista sincera. Sullo stesso giornale Marco Boato, Verde, spiegava lo stesso giorno che il rinvio del giusto processo, imposto dai Ds per agganciarlo alla riforma federalista dello Stato, è in realtà un rinvio a tempo indeterminato: «La riforma federalista riguarda l'intero capitolo quinto della Costituzione, e cioè moltissimi articoli». Sempre lo stesso giorno si sapeva che il giusto processo non avrà come relatore alla Camera né Boato né un esponente di Forza Italia, l'avvocato Pecorella, ma l'onorevole Soda, diessino, su sollecitazione del presidente della Camera, Luciano Violante.
“Bene, sappiamo così che il partito della Quercia tiene strettamente sotto controllo la giustizia. Nei giorni precedenti, del resto, tutto il partito era sceso in campo contro Del Turco, che da presidente della commissione Antimafia aveva criticato i ritardi nella riforma delle legge sui pentiti. Del Turco aveva parlato dopo che il pentito Cangemi aveva pubblicamente accusato Berlusconi e Dell'Utri di avere ordinato a Riina le stragi del 1992 e del 1993 - li aveva accusato non per propria scienza e nemmeno per sentito dire, ma per un suo «ragionamento».
“L’Antimafia, al tempo in cui la presiedeva Violante, aveva dato ben altri segni di travalicamento delle competenze che non la modesta critica di Del Turco. Con l'indebita pubblicizzazione di troppi atti, per esempio. O con l’erezione di ignobili assassini a maestri di etica. Dunque, non è la prassi dell’Antimafia che può dare fastidio ai Ds. È allora la critica a Cancemi? È possibile.
“I Pm del processo nel quale Cancemi testimoniava non hanno raccolto il suo «ragionamento». Del resto Berlusconi e Dell'Utri hanno le spalle abbastanza larghe per proteggersi da queste accuse. Ma il pentito ha dato nell'occasione un segnale chiaro della potenza di fuoco che lui e i suoi altrettanto spregiudicati compari possono vomitare a volontà su chiunque. Bisognerebbe dunque fare presto, per evitare di trovarsi spuntata, cioè non credibile, un’arma che ha dato contributi importanti alla lotta contro la mafia. Perché allora i rinvii?
“Nella polemica con Del Turco l’onorevole diessino Lumia ha sostenuto che il suo partito ritiene anch'esso che la legge sui pentiti vada perfezionata, e che in commissione Antimafia «ai Ds interessa una sola cosa: poter parlare del rapporto mafia-politica». Questo sarebbe solo opportuno: parlare cioè di tutti i rapporti della mafia con la politica, non solo di quelli con Lima e Ciancimino, oppure oggi di quelli presunti con Forza Italia.
“Ora, può darsi che con il rinvio della riforma si eviti che i tipi come Cancemi facciano sfracelli. Anche perché ci sono responsabilità precise, degli attuali Ds più che di ogni altra parte politica, nella «gestione» dei pentiti. E si sa che gli orologi della memoria di questi personaggi sono bizzarri. Ma il rinvio della riforma, se protegge questo tipo di pentiti, vanificherà tutto quanto il contributo che i «collaboratori di giustizia» hanno dato e potrebbero dare nella lotta alla mafia. Quello serio, che Antonino Caponnetto ha detto «determinante» (prima «non sapevamo nemmeno che la mafia si chiamava Cosa Nostra», ha ricordato il Procuratore di Palermo della stagione d’oro del pool anti-mafia, e per proteggere Falcone e Borsellino non si trovava di meglio che rinchiuderli per qualche settimana nel supercarcere dell'Asinara, a loro spese). Resterebbero invece proprio i «ragionamenti» e i pettegolezzi. Basta, come si esprimono Riina e soci, «imbordellire» la questione. E questo è purtroppo quello che emerge, sotto le petizioni di principio, e le accuse di mafiosità spese contro ogni critica, come in un gioco diabolico: l’opposizione che non spinge a fondo per la riforma, e il governo che la rinvia.
“Il giorno in cui i Ds prendevano senza più paraventi in mano la giustizia era anche il giorno in cui cadeva il baluardo rosso di Bologna. Segno preciso che la politica del doppio linguaggio non paga più con i simpatizzanti, e forse nemmeno con i militanti. Non è detto che la lezione di Bologna venga recepita, che una concezione laica della politica faccia breccia in un partito sempre togliattiano, abbarbicato all'hegeliana Verità del Potere. Ma la questione dei pentiti è talmente chiara che non recepirla sconfina nel delittuoso”.

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