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domenica 1 agosto 2010

Se Fini è un vuoto a perdere

La rivolta di Fini, o la fine del Pdl, sembra drammatica, ma non lo è. Altre rivolte, di Casini, Follini, Buttiglione, dello stesso Fini, nonché di Bossi, per non dire delle innumerevoli scissioni a sinistra, sono state ininfluenti. Non hanno mai migliorato la politica, e non l’hanno peggiorata. Nel senso che la politica non è peggiorabile, essendo venuta meno l’azione di governo che la giustifica e nobilita. Ecco, queste sollevazioni deprimono una funzione di governo già depressa (frazionata, ricattata, insterilita). E cioè la democrazia: un governo è necessario alla democrazia, chiunque lo sa, è per questo che ogni tanto votiamo. Senza migliorare in alcun modo il diritto al dissenso, anzi screditandolo.
Si prenda Fini, le sue dichiarazioni d’intenti. Si prenda cioè per buono, anche se ha dato ampiamente prove di non dissimulata ipocrisia. Dice che vuole rigenerare la destra, riportarla a nobili ideali, alla giustizia, alla moralità, alla democrazia interna eccetera. Ma non fa che antagonizzarla. Mentre tratta con Casini, fa sapere che tratta con Casini. Fa l’occhiolino alla sinistra – cioè a Bersani, posto che Bersani sia la sinistra. E regge i “suoi” con mano ferrea, da ducetto quale si sogna. Per creare un Grande Centro, che è tutto ciò che l’uomo di destra aborre. E finirla col bipolarismo, l’unica maniera di avere un qualche governo che rispetti il voto. Uno stratega senza tattica, o un tattico senza strategia. Proprio l’uomo su cui chi vota secondo coscienza non può fare affidamento.
Si può anche dire che, in questa Seconda Repubblica, né gli alleati di Prodi né quelli di Berlusconi, pur dissentendo fino all’eterna crisi, hanno migliorato la funzione di governo, né si sono proposti di farlo. Bertinotti, Fini, Folli, Casini, Buttiglione (l’unica eccezione è Mastella, eh sì) hanno una sola proposta al loro attivo. Vent’anni di politica e di governo e non una sola “cosa” per cui questi si ricordino. Salvo attestarsi sul facile moralismo della legalità. Di cui nessuno si priva, neanche i pluriomicidi, ancorché convertiti alla teologia. Che poi è la schiena spezzata al cabotaggio golpista dei giudici (certo, pensare che Fini e Casini facciano i moralisti, con gli emissari che si ritrovano, dà i brividi). Si potrebbe cioè dire questa ginnastica politica irrilevante. E questo dice: Fini non è il conte di Montecristo, la sua Seconda Repubblica è quella saprofitica, impiantata sul bisogno di governabilità da cinici golpisti alla Borrelli, alla Scalfaro, a uso di personale carriera e con lo scopo primario di impedirla.
Per il Parlamento, e quindi per la democrazia, la “sceltà di libertà” di Fini è allora come liberarsi dalla zavorra, dei tanti vuoti a perdere che ingombrano la spesa quotidiana. Di un Bocchino di cui non si capiva fino a ieri a che titolo infiorettasse ogni tg del suo ghigno. Dello specialista in viaggi Urso. Della killerandreottiana Bongiorno – con la quale tra l’altro il governo potrebbe liberarsi con beneficio dei disegni di riforma della giustizia, i giudici sono violenti. Il carrierismo camuffato di dissidenza è stato ed è il cancro della Repubblica, del buon governo, di qualsiasi governo, sia pure dell’ordinaria amministrazione. Pesa ancora sui conti pubblici l’alt di Fini a una vendita d’immobili da parte del Tesoro perché i sottufficiali dell’Aeronautica di Roma trovavano più conveniente (non) pagare il modesto canone piuttosto che riscattare l’alloggio, al 40 per cento di sconto.
Ci saranno ora più processi contro Berlusconi e i suoi. Da parte delle Procure dove il presidente in doppiopetto ha le mai in pasta, Pescara, Napoli, Roma e Firenze (ma qui ci sono perplessità, i procuratori non vogliono marciare con Quattrocchi, benché altrettanto “laici” che i Procuratore Capo). E più condanne dai giudici di Milano, uomini - e donne - d’un pezzo come l’inflessibile presidente. Ci saranno vendette, e questo è l’uomo, un (ex) fascista: sotto il doppiopetto niente.
Politicamente Fini colpisce Berlusconi nella sua riserva segreta, la governabilità, ma che dire? Ci costringe ad augurarci che non succeda. “È la fine del decisionismo”, si congratula con Fini Bertinotti, e non sa che è, è stata, la fine sua e della sinsitra. Il problema con Fini, si dice, è che non è la prima volta, ma non sarà l'ultima.

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