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martedì 30 marzo 2010

Il partito Democratico è nato morto

Capita, “celebrando” le elezioni in Toscana, di toccare con mano l’inconsistenza del partito Democratico. Che pure si prende la regione col 60 o quello che è per cento. Senza gioia, e senza un’idea di che fare. Giusto gestire il partito degli affari, che in Toscana sono particolarmente fiorenti nell’immobiliare e nella sanità, con una fiscalità, diretta e indiretta, superiore di almeno 5-6 punti, al resto dell’Italia. Questo sistema di governo dura da quaranta anni, e la durata sarà stata la sua unica ragione di perpetuazione. Si propone ora un modello Toscana per la sanità, così come negli anni 1970 si proponeva la regione Emilia come modello della gestione sociale e del territorio, ma i modelli sono robaccia sovietica, da Comintern.
Il partito Democratico resta al palo nell’amalgama fra ex Pci e cattolici, ai quali ha lasciato una sola candidatura, quella dello screditato Loiero. Molti cattolici del Pd sono passati con Casini, e molti di più andranno con Rutelli. Resta al palo anche il rinnovo del gruppi dirigenti ex Pci: i nuovi sono come i vecchi, solo più grigi. La casuale candidatura di Emma Bonino a Roma – giusto perché nessun capataz democratico voleva affrontare una sicura sconfitta – conferma l’incapacità di questi ex comunisti di parlare col resto della sinistra non confessionale, i socialisti, i radicali, i verdi.
Questi limiti continuano a essere mascherati da furbi media corrivi, il partito del non governo. Nonché dai nannimoretti, dalla Rai ancora veltroniana, e dalle signorine girotondo con forum, chat e email. Ma nei fatti sono un fatto. La sezione del Pd ex democristiana “non si parla” con la vicina sezione Pd ex Pci – le sezioni sono così divise. L’odio dei socialisti e dei radicali è più forte, se fosse possibile, di quello di Berlinguer. L’unica ragione d’essere del Pd è di essere il partito degli affari in Toscana e in Umbria, e ancora, ma sempre meno, in Emilia-Romagna e Marche.
Si potrebbe perfino porre una questione morale a questo Pd. Che ha fatto una campagna di puro scandalismo: avvisi di reato, intercettazioni, la cancellazione pervicace della lista berlusconiana a Roma, malgrado l’intervento di Napolitano. Come già con gli Zappadu (Zappadu, coi conti alle Bahamas…) e le D’Addario. Mentre gli avversari sorvolavano su Marrazzo a Roma, una storia di cocaina e di morti. Sul sindaco di Bologna che faceva pagare al Comune i viaggi con l’amante e i regali. Sul vice di Vendola arrestato a Bari per la corruzione nella sanità. Su Bassolino a Napoli. Fatti sostanziosi e non veline di servizi più o meno segreti.
Le elezioni il Pd le ha perdute male. Dopo l’eccezionale schieramento di giudici, dai quattrocchi fiorentini all’ufficio elettorale romano e a tutti i Tar e i consigli di Stato del Lazio, per non dire degli incredibili procuratori di Trani. Avrebbe perso anche la Puglia, dove non voleva Vendola. E se Vendola non si fosse inventata la ruota di scorta Poli Bortone, per i buoni uffici di Pellegrino, disperdendo così il voto della destra. Una sconfitta su cui c’è poco da costruire.

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