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martedì 5 ottobre 2010

Una università dei liberi docenti

A Napoli non c’era l’università C’erano liberi docenti, alcuni peraltro di grande capacità e onestà (Francesco De Sanctis era uno di loro), che impartivano privatamente, a pagamento, l’insegnamento superiore. Quando il governo italiano fondò l’università, non tutti i liberi docenti ne divennero professori, solo i migliori. Gli altri passarono a fare le preparazioni degli esami e, in nome della libertà d’insegnamento, chiesero e ottennero dal governo un riconoscimento e la protezione del loro ruolo agli esami stessi. “Di concessione in concessione”, così lo storico Pasquale Villari riassume la situazione in una delle sue “Lettere meridionali” l’1 dicembre 1883, “i cosiddetti professori pareggiati di Napoli ottennero prima un posto nelle Commissioni esaminatrici, poi due, poi tre, fino a quattro. Fu loro concesso, per legge, il diritto di riscuotere dall’Università una parte delle tasse scolastiche, secondo il numero delle lezioni, e queste poterono darsi anche in casa propria. Lo studente fu inoltre obbligato ad ascoltare, a sua scelta, un certo numero di lezioni, oltre quelle che sono scritte nel corso ufficiale, il che lasciò un nuovo margine ai pareggiati”.
Questo tipo di “riconoscimento” portò alla moltiplicazione dei liberi docenti. E a un arruolamento degli studenti di questo tipo. Un agente del libero docente aspettava le matricole alla stazione centrale a novembre, mese d’iscrizioni, si accertava delle loro propensioni agli studi, e chiedeva d’iscrivere, tra i corsi da frequentare, quello o quelli del suo libero docente: “Basta mettere qui una firma. Voi non perdete nulla e fate guadagnare al professore, che poi sarà fra gli esaminatori. Non avete alcun obbligo di andare alle sue lezioni”. Oppure lo studente veniva avvicinato alla casa dello studente o nell’atrio dell’università, da un altro studente o dallo stesso professore pareggiato: “Che vi costa far mettere sul vostro libretto la mia firma, invece di un altro’ Il professore ufficiale non perde un centesimo, io, che posso essere nella commissione che vi esaminerà, guadagno una trentina di lire, che non si levano a nessuno”.
È la riforma che la Gelmini vorrebbe. Senza saperlo, il che è anche più triste. Di università, per ora, che mendicano solo iscritti e promettono promozioni facili. Ma prima o poi dovranno pure chiedere una tassa di scopo – è il mercato.

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