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giovedì 13 gennaio 2011

La leggerezza del padre

Dopo quarant’anni di eugenetica, in cui l’Italia ha registrato il più basso tasso di. fertilità del mondo, esplode la voglia di figli. È anche una moda, e un artificio pubblicitario – diventare padre a 64 anni (Elton John) non è amore per i bambini, mentre diventare madre a 56 (Gianna Nannini) non è gratificante ed è anzi dannoso, anche per il bambino. Ma la crescita delle adozioni lo attesta, dalle tremila l’anno di fine Novecento al doppio negli anni più recenti.
Il padre, il riconoscimento del padre, è del resto il segno della civiltà umana, le altre famiglie animali più vicine, come gli scimpanzé, riconoscono solo la madre. Il rapporto però è sempre stato difficile, deve ancora maturare. In questa età dell'uomo matura, se lo fa, da adulti, quando i figli si fanno genitori. Ma è un sentimento e una voglia di lontana tradizione, più o meno costante, l’umanità è qui a provarlo. Con differenze, certo, fra cultura e cultura, paese e paese. Non c’è per esempio molto affetto per il padre nella poesia italiana, Luisi spiega alla prima pagina contro il suo assunto (in questa riedizione attenua il contrasto – l’antologia è del 1996). Niente al confronto dell’amore per la madre, anzi per la mamma.
Sono più nella tradizione italiana i poeti che non parlano del padre, dice Luisi: Dante, Petrarca e tutta la tradizione,Tasso, Ariost, eccetera, D'Annunzio, Montale, Ungaretti, Betocchi, Luzi, Zanzotto. O ne parlano male, alla Cecco Angiolieri: Cimatti, Landi, Guerrini, Bàrberi Squarotti, Stecher, Bigiaretti. Ma ne ha abbastanza nel Novecento per un'antologia - senza contare l'errore, nella tradizione, del Tasso (non c'è padre più presente del suo). Malgrado alcune assenze, la più notevole delle quali è quella di Alda Merini. Ungaretti è una distrazione di Luisi, i versi di Ungaretti per il figlio premorto sono tra i più densi, perfino duri - qui è documentato il sentimento inverso, dei figli per i padri, ma è la stessa cosa: la paternità-maternità – oggi si dovrebbe dire la genitorialità - è sentimento biunivoco.
È pure vero che tutte, o quasi, le poesie della raccolto sono di commiato: un saluto al padre malato, vecchio, morto, assortito di un ricordo d’infanzia (di solito “la pargoletta mano”), il genere epicedio. E un topos ricorrente nel secolo che Pascoli apre col “X Agosto”, anche qui nell’antologia e non solo per questione di date. È anche un rito di sostituzione, che molti riconoscono espliciti: Aldo Forbice (“perché tu eri me\ e io ora sono te”), Dante Maffia (“Ma non sono sicuro se sto parlando\ di te o di me; il tempo\ ha imbrogliato le carte”), Plinio Perilli (“Padre che dentro mi nasci, come io qui figlio\ ti rigenero”), Patrizia Valduga nel poema più paterno di tutti, “Requiem”. Seppure confusamente, si rifanno ai valori che Goethe chiama “larici”, dai Lari latini, i numi domestici – da Magris ultimamente richiamati in un breve saggio, “Il romanzo senza famiglia?” (ora ricompreso in “Alfabeti”), appassionato, sui valori domestici, a partire dalla “purissima e assoluta umanità di Ettore,… il suo desiderio fondamentale che il figlio cresca più grande, più felice e migliore di lui”. Che non necessariamente è attitudine tirannica.
Ma non è poi la paternità la stessa cosa che la maternità? Luisi le divide all’origine della scelta, per circoscrivere la materia, ma non le spiega. Si pone così fuori dell’attualità, delle cronache feroci. Lo suppliscono alcuni dei poeti antologizzati. Saba fra tutti, terzo dell’antologia, dietro una insipida Aleramo per ragioni di data di nascita: ”Mio padre è stato per me «l’assassino»,\ Fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.\ Allora ho visto ch’egli era un bambino….” . L’Italia è anche il paese più femminista, da sempre, nel senso di revanscista antimaschio, non ha avuto bisogno che Freud uccidesse il padre - la vulgata è che la donna era ed è sottomessa, la realtà è diversa: non c’è altrove il rifiuto del maschio, innamorato, coniuge, amante che sia, come in Italia (che è anche rifiuto di se stessi, d’accordo, ma questo è un'altra questione), tra coetanei, più o meno, in convivenza più o meno volontaria e non abitudianria o forzatta dalle cose. La raccolta ristabilisce la proporzione delle cose. Rivolta anzi quella che si supponeva una condanna, del brocardo “mater sempre certa est, pater nunquam”: se della madre non ci si libera, il padre è una variabile nostalgia, della vita.
Luciano Luisi, a cura di, A mio padre. L’amore filiale nelle più belle poesie della letteratura italiana, Newton Compton, pp.202 € 9,90

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