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venerdì 24 febbraio 2012

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (118)

Giuseppe Leuzzi

Un tempo c’era la misura del lutto. Recente, di una generazione fa: un anno, due, tre, o sei mesi, in dipendenza dal grado di parentela col defunto, genitore, figlio, fratello, cugino, zio.
La osservavano le donne, e quindi è finita col femminismo giustamente. L’elaborazione del lutto però aiutava, più del “sostegno” psicologico - “meccanismo classico del lutto” Roland Barthes dice “l’autosvalutazione”: no, è una rivalutazione, di sé nell’altro.

Il Sud ha figli molto accuditi. Coccolati, privilegiati, viziati – fino all’incapacità. Per farsi perdonare che cosa?

Lattanzio, “Divinae Institutiones”, 2,10, intende il Sud e il Nord come “figurae vitae et mortis”, come il giorno e la notte, nel senso di “vera e falsa fede”.

Platone il Sud aveva disgustato perché troppo ricco e operoso. Platone, angustiato al pensiero che le città sarebbero state sempre malgovernate, in chiave di “vera filosofia”, decise di venire “in Italia e in Sicilia per la prima volta”, di andare a vedere nelle ex colonie, a Occidente – l’Italia era la Calabria, la Magna Grecia. Ma, scrive, “appena giunto, mi disgustò la vita che quivi era chiamata felice, piena com’era di banchetti italioti e siracusani, e quel riempirsi lo stomaco due volte al giorno, e non dormir mai, solo la notte”.

Umberto Eco opera uno slittamento insistito, nel saggio sul Gruppo 63, da italiano a mediterraneo, a crociano, e a meridionale. Che è solo naturale: Eco sicuramente trova a Bellinzona, dopo Chiasso viene Bellinzona, molto più che a Palermo, che lo ospitava. Il problema è: perché un siciliano va a Milano invece di andare direttamente anche lui a Bellinzona? La Svizzera è più bella della Lombardia, è meglio amministrata, è meno cara, e parla anche l’italiano.
Eco si dà con gaudio a illustrare in quel saggio il rozzo tema di Dionisotti, illuminismo padano contro romanticismo meridionale - De Sanctis certo è romantico, ma il resto del Sud? E lo fa in modo sbagliato: c’è più illuminismo nell’idealismo “meridionale” (De Sanctis, Croce) che nel bozzettismo lombardo. Dossi, Gadda e Arbasino sono lombardi o non “meridionali”? Perché sono fuggiti via da Milano?

Sergio Romano lo va ripetendo da qualche tempo, ed è vero: Jean-Baptiste Duroselle, il grande storico diplomatico, in una “Storia d’Europa” abbozzata trent’anni fa, nel 1982, la disse di origine latina, germanica e celtica. Con esclusione della Grecia, che se la prese a male – ma anche i tedeschi che ne avranno detto, loro che si vogliono (si volevano quando pensavano) gli eredi esclusivi dei greci classici?
Dunque non c’è spazio, in Europa come in Italia, per chi non è latino né tedesco: la connotazione razziale conta. Checché essa sia - chi sarà stato latino per Duroselle, chi lo è per Romano? se la connotazione fosse giuridica, cioè culturale, saremmo tutti anche greci, i druidi inclusi. Conta cioè la perimetrazione.

Il Sud è un’eccezioneOgni sottosistema che fa parte di un sistema più grande tende ad assimilarne i contenuti. Parlando di sviluppo: il reddito e la capacità di creare reddito. Se ne è discusso per decenni, negli anni 1960-1970 (Myrdal, Tinbergen), al tempo delle “Decade degli aiuti”, ed è ormai indiscusso, che l’integrazione nel mercato mondiale è il miglior veicolo di sviluppo, ed è ciò che ha portato alla globalizzazione. I cui effetti positivi sui cinque sesti del mondo, dal Messico alla Cina, sono appunto indiscussi, malgrado le utopie conservatrici.
Ciò non è avvenuto per il Sud. L’effetto reddito vi è trascurabile, e si accompagna alla devastazione, del territorio, delle psicologie, della stessa economia – dove altro riscontrare tanta inerte avidità, miserabile anche, quanta al Sud? Il problema dunque c’è: è il Sud incapace, o è il sistema Italia che lo tiene in servaggio? La risposta dell’evidenza è: l’una e l’altra. È vero che i meridionali fuori del Sud sono come ogni altro capaci, ingegnosi, applicati, costanti. Ma resta sempre vero che alla lunga non c’è servitù se non volontaria. Il Sud poi vota liberamente da quasi settant’anni, e in alcune aree ha larghe autonomie, amministrative, fiscali.

Mafia e giustiziaLa giustizia al Sud è privatizzata nei fatti. Arrivi una minaccia, un furto, un dispetto, un avvertimento, una richiesta di pizzo, una violenza alla persona, la vittima dovrà procurarsi le prove e le testimonianze, e sostenere in prima persona l’accusa al processo, se mai ci arriverà. Né le Procure della Repubblica né i Carabinieri gli saranno di aiuto. Dovrà anzi guardarsene, perché per loro, normalmente, a meno cioè che non sia “conosciuta”, cara ai poteri, la vittima è sempre colpevole – complice, correo.
Un aspetto della giustizia privata sono le forme di contiguità: conoscenze, amicizie, favori, parentele acquisite. Che non piacciono a nessuno, nemmeno ai mafiosi, ma sono una necessità.

La relativa impunità è il miglior collante della criminalità organizzata, l’“economia di relazione”. Non necessariamente con la politica – non ultimamente: la politica è screditata, non garantisce (delivers). Col sistema della giustizia, che è in Italia un fatto fra “giusti”. L’apparato repressivo e quello giudiziario, procedure, pene, magistrati, sono conformati a regolare punitivamente quella parte della società che ha subito un torto, nel presupposto che è comunque in colpa: il ricorrente (l’offeso) deve dimostrare e giustificare tutto, con dispendio di tempo e soldi. Il violento è invece, letteralmente, fuori dalla giustizia, dalle sue jugulazioni. Deve solo scontare – attuariamente, mettere cioè tra le possibilità – qualche mese di carcere di tanto in tanto. Facendo il conto dei costi di un criminale abituale, in carcere e soldi, peraltro potenziali, e di quelli subiti mediamente da chi debba confrontarvisi, tutti comunque effettivi, in tempo, pratiche e soldi, anche a trascurare i danni morali o psicologici, e quelli patrimoniali, da furto, scippo o rapina, non c’è dubbio che la vittima ci rimette di più.
La giustizia è il fondamento dell’uguaglianza, dunque della democrazia. In Italia si reinterpreta come strumento di giustizia sociale. Che non vuole dire nulla, se non che se ne fa un apparato repressivo, della società.

leuzzi@antiit.eu

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