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lunedì 20 febbraio 2012

Gramsci nazionalpopolare fuori del Pci

Lo Piparo, linguista, studioso del Gramsci grammatologo, lo vuole apostata, dal Pci se non dal comunismo. Per una serie di indizi che qui analizza, di date, redazioni mutile, testi mancanti.
Il saggio non è piaciuto all’establishment gramsciano, che si è eretto a bizzarra ortodossia. Ma è stringente benché non apodittico, semmai è troppo pieno di subordinate (dubbi), tale che riesce impossibile non considerarlo onesto. Con un curioso effetto: la parte indiziaria, alla Ginzburg, che Lo Piparo svolge non è persuasiva – per sazietà, troppa dietrologia in giro (revisionismo, illuminazioni, golpismo)? Tanto più che si spinge in conclusione a “indiziare” (suggerire, indurre) un parallelismo antigramsciano, tra il “nemico e opportunista” Togliatti e Mussolini. Mussolini che, vecchio compagno di Gramsci all’“Avanti!”, e per questo sollecito a soddisfarne tutte le richieste dalla prigione contro le vessazioni dei carcerieri, non avrà mancato di leggersi i “Quaderni”. Perché? “La polizia politica non poteva non sapere”, e quindi Mussolini non poteva che leggere, e ordinare di non distruggere… Ma la sua tesi è nei fatti, squadernata.
È nei fatti che Gramsci si sentì tradito dal partito, a partire dalla famosa lettera di Grieco che, contro tutta l’impostazione della sua difesa al Tribunale fascista, lo deputata a capo del Partito. Fatto peraltro noto e acquisito: Lo Piparo riprende la questione già “giudicata” venticinque anni fa, anche per l’autorità, filologica e deduttiva, di Sciascia. È nei fatti che Gramsci a un certo punto scrisse o riscrisse i suoi appunti, i “Quaderni del carcere”. Non in vista di una pubblicazione, di cui non poteva avere speranza, ma di un riassetto del suo proprio pensiero. E i “Quaderni” riscritti sono molto poco Pci e nemmeno comunisti. Serviranno a Togliatti per appropriarsi del nazionalpopolare, con un colpo di genio: una sorta di gigantesca battaglia campale per il postfascismo in Italia, decisiva, vinta con una semplice alzata d’ingegno alla lettura a tavolino, delle carte di uno che tutto dice comunque un avversario politico, sia pure interno al Partito (ma che ferocia in quegli anni all’interno dei partiti comunisti: dove si conoscono, quelli del Pdk, il Partito tedesco, pupilla degli occhi di Stalin, sono da non credere).
Sono nei fatti anche le “gravi lacune” del patrimonio documentario gramsciano, e specialmente delle lettere. Create non dalla censura fascista ma dai destinatari, diretti e indiretti. Sraffa compreso, prima di Togliatti, che da Cambridge era il tramite di Mosca. Se non ne era la spia, il “quinto uomo” di Cambridge di cui mai s’è saputa l’identità - poi magari, un giorno, si farà la storia delle sorelle Schucht, la moglie e la cognata, una delle tante coppie di bellezze russe, e anche di bellezze singole, disseminate in Europa negli anni 1920, a contatto stretto con intellettuali importanti e espatriati, anche temporanei, Gramsci appunto, Gor’kij, Majakosvskij, Aragon, H.G.Wells. Nel dopoguerra Sraffa evitò l’Italia, pur vivendo a lungo, fino al 1983, e anche il Pci, i pochi contatti li mantenne con Mattioli, col quale da giovane era stato assistente di Einaudi. C’è, dice Lo Piparo nei ringraziamenti, “una parte non pubblicata di questo libro (il triangolo Gramsci, Sraffa e Wittgenstein”) - probabilmente più interessante.
Gramsci si rilegge ancora con interesse, specie i “Quaderni”, ma in nessun modo ricollega alla storia successiva del Pci, se uno evita il curatore Gerratana e le avocazioni di Togliatti.
Franco Lo Piparo, I due carceri di Gramsci. La prigione fascista e il labirinto comunista, Donzelli, pp. 144 € 16

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sraffa quinto uomo? Da complotto a complotto?
Barth