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giovedì 31 gennaio 2013

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (160)

Giuseppe Leuzzi

“ I Tarentini avevano più giornate di festa che di lavoro”, ricorda Nietzsche nel “Servizio divino dei Greci”.

A Bari e Napoli sono i giudici maschi ad avere un’amica giornalista. A Milano invece i giornalisti sono maschi e il giudice femmina. Anche questo è Nord e Sud?

Il “genio italìco “ (poi si sarebbe detto magno-greco) Nietzsche individua nel 1876 a Basilea, nelle lezioni sul “Servizio divino dei Greci”, in una “matematica fantasia costruttiva” – seppure “pedante e giuridica”. Chi l’avrebbe detto. Si è poi perduta? In Italia?

L’odio-di-sé
Gli scacchi hanno la “difesa siciliana”. I manuali la dicono una delle “aperture di gioco semiaperto”. Siciliana solo perché descritta per la prima volta, se non inventata, da Pietro Carrera nel 1617, che era siciliano. E per questo così battezzata dallo scacchista inglese Jacob Sarratt ai primi dell’Ottocento – la parola allora non era negativa.
Don Pietro Carrera, sacerdote, fu un prolifico falsario secondo Salvatore Nigro, “Dizionario Biografico degli Italiani”. Ma non se ne ricordano falsi d’importanza. Mentre è centrale alla storia degli scacchi, come giocatore, per la “difesa”, e per una scacchiera 8 X 10, che sarà poi riproposta da più famosi scacchisti, Bird e Capablanca.
Per Salvatore Nigro, autore di una biografia spregiativa dall’inizio alla fine, il paese, la famiglia, i maggiorenti, etc., Carrera è l’autore “di una serie di interessati «falsi», ai quali deve la sua fama assai discussa”. Ma non dice quali. La biografia di Nigro merita una lettura:
Tutto vi è malvagio e sciocco: anche stampare libri piuttosto che stuprare vergini, seppure da innominati. Che senso ha fare la storia di un personaggio, un’epoca e dei luoghi per i quali si professa, senza altro, disistima. Che senso ha tanta arroganza?

Orazio Niceforo su “Oggi” spiega apodittico che i voti alti alla maturità in Calabria e in Puglia sono rubati. Spiega anche un suo schema di “griglie” multiple per sanare lo scandalo. Da vero burocrate. Meridionale – Cognomix censisce, su 87 Niceforo in Italia, 26 in Calabria, 18 in Sicilia e 11 in Campania?
“Gli studenti del Nord avrebbero tutto da guadagnare da una riforma di questo tipo”, conclude Niceforo. Che si professa consulente del ministero, di tutti i ministri, e professore all’università Roma Tre. Non gli studi e la scuola ne profitterebbero, gli “studenti del Nord”. In effetti, se è meridionale, Niceforo potrebbe avere ragione: chi gli ha dato il diploma?
Il fatto, com’è noto, non va visto in termini percentuali, in rapporto alla popolazione scolastica, ma in assoluto: il numero delle eccellenze è generazionale e irrelato alla demografia. Se si correla a qualcosa, è ai modelli culturali – familiari e sociali – e alle opportunità (magari in Calabria non ce ne sono molte, a parte lo studio).

Mafia e antimafia
Tomas Tranströmer, il poeta svedese Nobel 2011, psicologo di professione, ha nella breve autobiografia, “I ricordi mi guardano”, l’arte di non opporre resistenza ai prepotenti come il mezzo migliore per disarmarli. Ma non funziona: i mafiosi sono bestie.

È avvilente, prima che indecoroso, lo spettacolo che si ripete di allineare i morti in Sicilia ognuno a proprio piccolo vantaggio, di carriera, di promozione, di brand, di “chiara fama”. Pazienza i figli, ma i fratelli, le sorelle, i nipoti, i colleghi, gli amici, e gli amici degli amici con i parenti dei parenti. È la Sicilia, che allinea il meglio e il peggio di tutto. Ma con un limite: nelle querelles  di chi se ne avvantaggi si trascura la mafia. Da troppi anni ormai. Questo è perfino illegale, ma a chi dirlo?
I limiti in realtà sarebbero due, e il secondo è peggio, molto, del primo. L’uso dei morti assassinati, giudici, politici, giornalisti, per dare legnate a questo e a quello. I giudici si distinguono in questa campagna elettorale nell’immonda profanazione, Ingroia, Boccassini e i tanti minori. Ma peggio sono i parenti: sfruttare i morti è i principio della mafia, della violenza.

Si processano in Sicilia molti giudici tra di loro, a Caltanissetta per Palermo, a Catania per Caltanissetta e Messina. E alcuni politici, praticamente tutti i politici siciliani. Ma non si processano più mafiosi.

Sicilia
Paul Klee viaggiava molto alla maniera di Goethe, per formazione. Più spesso che altrove in Italia. Dovunque “dipingeva” lo spirito del luogo, città o campagne, con segni astratti – di colori, di forme. In Sicilia non ci riusciva, i colori gli imponevano delle forme concrete.

Lampedusa dice del suo alter ego Salina (“Gattopardo”, 223): “«Non c’è che l’acqua a essere davvero buona», pensò da autentico siciliano”.

Stefano D’Arrigo si dice a Messina, ventenne o poco più, scrivendo la “Lettera come memoria a Michele”, amico di Udine (ora in “Il Licantropo  altre prose inedite”), “uno di quaggiù, che ci consumiamo di sentimenti”.
Messina è mentre scrive “nella nebbiolina del mattino”, ma non spersa: “Qua sono i moli con le merci, zolfo, pomice, agrumi, qua la Passeggiata con le palme da datteri”. Erano gli anni 1950. Qualche traccia ce n’era ancora negli anni 1960. Ora è tutto sparito. Anche le palme.

L’orecchio di Dionisio a Siracusa dà un’idea grandiosa del segreto, cavernosa. E insieme molle, stagnante.
Un monumento molto siciliano alla tirannide, su una caverna vuota.

Sychelios  è a Creta lo tsipouro, la grappa. La grappa è dunque siciliana? È grappa di fichi: la Sicilia è il paese dei fichi, si dimentica.

Secondo Graves, nel corso della “Gigantomachia”, la lotta tra i nuovi e i vecchi dei, Atena scaglia un gran masso contro Encelado, che, appiattendosi, forma la Sicilia. È qui l’origine della piattezza, che da qualche tempo la Sicilia sembra avere interiorizzato: nell’irrilevanza, il pettegolio, il lamento, la nessuna considerazione di sé? Per il senso di colpa che potrebbe avere interiorizzato: ogni siciliano ormai si ritiene un po’ mafioso.

Platone nelle “Lettere” si dice infine siciliano. Dopo aver detto dei siciliani: “Sono come le vespe”.

La Sicilia può essere faticosa, la tradizione spossa. Quando c’è il culto della tradizione, cosa può venirne di buono, e di cattivo? Quando si è vissuto troppe volte, nell’Ottocento coi Piemontesi, nel Settecento coi Sardi (che erano piemontesi) e con gli Spagnoli, come nel Seicento e nel Cinquecento, nel Quattrocento coi Catalani, e prima con i Francesi, i Normanni, gli Arabi, i Bizantini, i Romani, i Greci, resta il manierismo stinto dei maestri di scuola media.
Vengono lampi dagli occhi vivaci, predoni, che sanno come va il mondo, ma si fanno vedere e non vedere.

leuzzi@antiit.eu

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