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domenica 27 gennaio 2013

La partita della vita, allegro con anima

“Il fischio d’inizio taglia dall’esistenza tutto l’inessenziale – la malattia, la morte, la pietrificazione, l’inadeguatezza”. La partita è un trip: “Lo Stadio delle Alpi si solleva e tutti partono in viaggio nello spazio dell’estasi”. Un viaggio diverso, attraverso il Mondiale 1990, da neofita del calcio, divertito, per poi finire nello sconforto e la morte. Ma non solenne, per tifosi: se fosse una partitura, si direbbe allegro con anima. Con Maradona naturalmente, e lo Schillaci spiritato, ma come iniziazione.
Le fasi del gioco, partita dopo partita, sono essenziali. Le folle, ebbre e non, invadono più spesso il campo, i silenzi del dopopartita diventano per l’autore assordanti, in senso letterale. Con contorni sorprendenti. La telereporter che “si illumina” col servizio, poi si spegne: “La giornalista accende la propria maschera facciale come lo spettatore la tv”. Mentre “il mondo ingrigisce per gli sconfitti” e “per i vincitori la notte esplode di possibilità, occhiate, abbracci e danze di giubilo”. Partendo da Pasolini: “Il calcio è l’ultimo rituale sacro della nostra vita”. Ma, si direbbe, contro le sue intenzioni, stereotipate: curioso libro.
Hallberg, svedese di Berlino, specialista di Walter Benjamin, della flânerie, la esercita più spesso in Italia. “Grand Tour” è un altro suo titolo italiano. Qui riprende le narrazioni brevi scritte e pubblicate nello stesso 1990, col controcanto di Fredrik Eklud, scrittore calciatore deluso, allora col titolo di maniera “Il carnevale del calcio. Viaggio italiano” (il carnevale è in realtà brasiliano: Hallberg non lo sa, ma scrive in trance dopo i due golletti di cui l’opulento Brasile si degnò di onorare la Svezia nella gara d’apertura – “il punto focale latinoamericano, il fondoschiena, irrompe nella sicurezza svedese”). E ne fa una lettura filosofica, sdoppiandosi in editore-critico dell’autore-metafisico-suo-malgrado.
La cornice è in realtà una seconda parte, giustapposta. Con un omaggio a Capri, anch’esso lineare e diretto (l’irruzione volgare di una troupe cinematografica nella naturale religiosità del San Michele, la residenza di Axel Munthe - nume tutelare, svedese, dei luoghi), e ai Falcone che si sacrificano per noi. Ma in una terza cornice, molto artefatta, di dolori e sensi di colpa. Con corrività perfino sorprendenti, tanto sono superficiali.
Chi ha vissuto il Mondiale ’90 come lui - che tra l’altro non è digiuno di calcio come pretende, tanto da calciatore che da spettatore – ne ha visto un altro. Un cittadino inglese inerme viene rimpatriato a forza in aereo, lasciando la moglie, i figli, la macchina e i bagagli in Italia. Bologna non è bene amministrata perché lo Stato lesina i fondi. A Bologna c’è pure “la prassi giudiziaria italiana, che ha sempre condannato a sinistra e assolto a destra”. Perché dire sciocchezze, l’Italia è tanto esotica? E perché dirle quando la realtà offre ben migliori spunti?
Ulf Peter Hallberg, Il calcio rubato, Iperborea, pp. 163 € 12

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