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venerdì 1 febbraio 2013

Secondi pensieri - 132

zeulig

Dio - È “involontario”, direbbe Simone Weil – viene con la grazia. L’uomo che se ne appropria, sia pure in forma di ricerca, lo fa per orgoglio: si appoggia su se stesso, si pavoneggia, finisce per prendere il posto che credeva di riservare a Dio.
Per sant’Agostino chi cerca Dio l’ha già trovato. È anche comprensibile che sia così, e dunque è il problema è come sopra: perché evocarlo.

Donna - La donna è il desiderio dell’uomo. Per questo ella può atteggiarsi. Sarebbe altrimenti un ammasso di carne, come ogni altro essere meno concupito.
La cosa non è senza profondità – benché al di là del povero Freud, e del potere del maschio: per il maschio stesso, per la donna naturalmente, e per il genere umano. Giacché il giorno in cui non ci fosse più desiderio, giorno oggi configurabile, l’umanità si fermerebbe. In tre mosse. Dapprima si riduce la fertilità e la procreazione: uomini e donne, singolarmente, separatamente, acquisiscono figli da centri specializzati, con tasso di riproduzione che per essere artificiale e tendente allo zero è una festa solo per la regolazione delle nascite. Quindi, nel quadro della freudiana autorealizzazione, la stessa filiazione, benché limitata e artificiale, perde ogni richiamo e anzi è ostile. Infine, si arriverà a una riproduzione forzata per il mercato o benessere: per il lavoro, la crescita economica, e la previdenza (il meccanismo oggi in uso, per cui ci vuole nuovo lavoro, il lavoro dei giovani, per pagare le pensioni ai vecchi). Già oggi la merce umana è molto apprezzata nei mercati clandestini, e  non per la prostituzione o il traffico di organi ma proprio in quanto produttiva di reddito attraverso il lavoro (cinesi e asiatici in genere).
Ma allora sarà una nuova storia. La fine propriamente della storia, anche – l’attesa fine della storia, eccola qua.

Il femminismo non ha liberato, ha cancellato. La donna non ha migliorato la condizione reale-legale, professionale, se non di quel tanto che è nello spirito dei tempi. Alla maniera come l’aveva liberata il sovietismo, che la introdusse ai lavori pesanti stradali senza tirarla fuori dalla chiesa. Mentre ha perduto le connotazioni ideali. Le ha perdute volontariamente, e questo è il peggiore arretramento: semplificatore. E si direbbe masochistico, ma è vendicativo.
La differenza sostanziale introdotta dal femminismo è una diversa percezione del rapporto uomo-donna. L’uomo vede la donna come un oggetto, sessuale, estetico, affettivo, riproduttivo. La donna vede l’uomo impersonalmente, in una sorta di metafisica, quasi isolato, “un corpo a sé stante”. L’incontro è di destini, tanto più arduo quanto più distinto.
Le donne stavano in un empireo. Questo ne faceva la preziosità (differenza). E fa catastrofica la discesa.

C’è, nel rapporto uomo-donna, il rifiuto dell’uomo. Nella menopausa, o in circostanze particolari. Una forma di stanchezza, che si traduce in modi e fatti autopunitivi. Per complessi di colpa o tendenze depressive che solitamente vengono addebitate all’uomo. A una sua insensibilità o a colpe specifiche, ancorché non esplicite. Ma non c’è il rifiuto della donna da parte dell’uomo. A nessuna età o condizione di salute, in nessuna circostanza.

Ironia – Non ha buona filosofia. Forse per non averla avuta in antico, quando stava per simulazione e dissimulazione. Al meglio era “ironia tragica”, quando un personaggio ignaro anticipava la catastrofe incombente. La più nota è quella di Socrate, che Platone fa appunto fingersi ignorante. Un “fingitore” direbbe Pessoa, uno che sfotteva l’umanità – senza nemmeno ricoprirsi, con la compassione. Shaftesbury la ripropone, ma contro l’ “entusiasmo”, contro il fanatismo religioso e politico cioè, dopo la stagione hobbesiana della guerra civile, di tutti contro tutti (“Lettera sull’entusiasmo”). Come spirito del paradosso F.Schlegel la dirà specifica della filosofia, ma non ne fa l’applicazione, anzi, e non dice come. La cosa si fermerà a Kierkegaard, alla critica del distacco romantico della realtà, da mondo. Che non va bene con l’impegno del buon cristiano, impegnato nel mondo e compassionevole. Ma è la trama della Grande Letteratura del Novecento, del disincantato Musil e dell’iperattivista ipernazionalista Thomas Mann  (“l’ironia come modestia, come scetticismo volto all’indietro, è una forma della morale, è etica personale, è «politica interna»”, la dice nell’“Impolitico”). E anche – forse contro le intenzioni, segretamente – di Proust e Joyce. Della Grande Letteratura europea. Non americana. Non latina. Non asiatica. Si accompagna alla decadenza?

Morte – Platone, nelle “Lettere”, la dice irrilevante:  la morte non riguarda i vivi, né coloro che sono morti. La sofistica non nasce da NN.
Spinoza lo ridice, “Etica”, parte IV, prop. 67, ma non si prende in giro: “L’uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte; e la sua sapienza è una meditazione non della morte, ma della vita”.

Storia – Raffaele Nigro ha, nella “lettera di Natale”, un apologo che chiude il collettaneo “Natale mediterraneo”, “la Storia che uccide le storie”. Questo non è già più vero, con la microstoria, la storia di genere, la testimonianza, e gli archivi dell’oralità e dei ricordi. Ma Nigro la attribuisce a Michaelstaedter. Che “odiava Hegel”, scrive”, “Fichte e Schelling, forse odiava Croce e tutti coloro che avevano visto le ragioni della storia acquattate sul destino dell’individuo”. Anche questo non è vero: Michaelstaedter dice la storia “una bella cosa”. Che a lui piace: “Oh, la poesia e la letteratura sono state la mia passione. Anche la storia!” Non amava la storia trionfante, ma quella è un’altra cosa.
Ciò che Nigro sottintende nella lettera (attribuisce a Michaelstaedter) è il rifiuto della Storia come se fosse una colpa della storia. Come se la Storia cancellasse gli individui, mentre può darsi solo l’opposto che un individuo (tutti gli individui nel caso di Nigro, i “meridionali”) cancelli la Storia. Facendosene magari vittima, mentre la Storia non è mai agente, è un insieme di coordinate. È un’arte retorica.

zeulig@antiit.eu

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