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giovedì 30 luglio 2015

Brecht si diverte con la morte

“Più debole delle nubi! Più leggero del vento.\ Non visibile! Leggero, abbrutito e maestoso come\ una poesia delle mie, volavo per il cielo”: Brecht sa presto cosa è e vuole, di levità, si direbbe con una parola di moda, francescana. Esordisce con questa raccolta di culto, ventinovenne nel 1927 - ma già autorevole editore di se stesso (aveva avuto il premio Klaist col suo se condo dramma, “Tamburi nella notte”, cinque anni prima). Con in più le tracce evidenti della collaborazione con Karl Valentin, clown e cabarettista politico.
Gli umori sono qui, più che nelle successive raccolte, liberi dagli impegni di partito. Ma con una presenza prevalente, tra i sarcasmi e le fantasie, della morte. Soprattutto nella seconda sezione, gli “Esercizi spirituali”. Infanticidi, parricidi, assassini, suicidi, risuscitati, sono di morte due componimenti su tre. La morte è un ritornello già dai tempi felici dell’irrisione. Quanto all’albero Griehn, sopravvive al “clamore della tempesta” vorticosa “solo grazie alla sua inesorabile\ docilità”- si salva il servo?
È difficile catalogare Brecht, anche politicamente malgrado tutto: fu un libertario, e un liberticida. Gli “Esercizi spirituali” (Brecht fu a battesimo e catechismo con la madre luterana, ma il padre era cattolico, e anche la città, Augusta, e le tracce di chiesa sono molto presenti, una delle sue note caratteristiche) sono una sezione che “si rivolge più che altro all’intelligenza”, da leggere quindi lentamente e più volte, “non mai senza candore”. Piena di ballate, satiriche, malinconiche, storiche,  è la sezione successiva delle “Cronache”, sempre cantabili. Tutte per qualche ragione giustamente famose: l’amicizia, la povera donna, la virtù, e ancora l’eroismo (“Mazeppa”), ma solitamente rovesciato rispetto ai componimenti scolastici bellicisti.
L’ultima ballata, che è la prima scritta, nel 1918, a quella ancora in corso, quella del “Soldato morto”, è una satira cattiva del milite ignoto che le autorità disseppelliscono e risuscitano, per rafforzare i ranghi nella marcia gloriosa delle truppe, benché sconfitte. E ovunque aforistico, non tralascia la battuta – “L’impudicizia ha spesso addolcito la nostra innocenza”. Nella “Lista dei desideri”, uno degli “Esercizi spirituali”, “delle storie” chiede “quelle incomprensibili”.
Si ristampa l’edizione di cinquant’anni fa. Qualche nota, magari un’altra introduzione, non avrebbe fatto male, Brecht non è poeta lirico-idilico, non si esaurisce nella parola. E d’altra parte è sempre difficile, anche qui, apprezzare Brecht in traduzione, dato che la sua poesia si basa sulla rima – solo il povero, der Arm, non vuole rima. Roberto Fertonani, cui si deve questa traduzione, nel 1964, supplisce alla rima con assonanze e consonanze, tenendo fermo l’impianto metrico. Un grosso lavoro, ma non è la poesia di Brecht.
Bertolt Brecht, Libro di devozioni domestiche, Einaudi, orig. a fronte, pp. 238 € 15

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