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martedì 10 maggio 2016

La deflazione è orfana dell’inflazione

La deflazione è irredimibile per aver cancellato l’inflazione? D’arbitrio, statisticamente. È la ragione più appropriata.
C’è una ragione se le politiche monetarie sono d’improvviso inerti. Incide l’obsolescenza della “curva di Philips”, che lega l’inflazione alla riduzione della disoccupazione: l’occupazione cresce un po’ ovunque, i consumi e i prezzi no. Ma se uno dei canoni della politica monetaria non funziona più è perché l’effetto reddito della maggiore occupazione è stato anch’esso abolito, insieme con l’inflazione.
La deflazione è indomabile perché l’inflazione è stata abolita. Da quasi un quarto di secolo. Statisticamente. In parallelo con la liberalizzazione del lavoro e la compressione dei salti, del reddito disponibile. Mentre la stabilizzazione monetaria introdotta dall’euro ha agito a doppio taglio: alla riduzione dei tassi passivi, importante soprattutto per il debito pubblico, ha accoppiato la stabilizzazione del debito privato nel senso di un onere sempre pesante, a fronte della compressione del reddito  per il blocco e anzi la riduzione salariale, e per il precariato diffuso – l’onerosità del mutuo si alleggeriva dopo quattro-cinque anni, ora è un cappio a vita, a vita del mutuo.
L’inflazione è stata abolita peraltro soprattutto statisticamente. Con l’euro i prezzi sono raddoppiati, ma non l’abbiamo sputo. Il petrolio è salito a 100 e più dollari, per cinque e più anni, ma Eurostat ha fatto finta di nulla: nessun effetto sui prezzi, sui prezzi rilevati. Questa cancellazione si vuole virtuosa, come avven to della stabilità, ma ha eroso tutti i margini reali - reali in termini economici - e ora l’economia è inerte. Dopo che anche le banche, col credito, si sono assottigliate.
Si capisce che gli sforzi della Bce siano a effetto nullo: c’è da smaltire un arretrato pesante. La situazione era stata anticipata dal Giappone, da un quarto di secolo ormai in deflazione. La Banca del Giappone ha fatto tutto quello che la Bce sta facendo, per prima e con continuità, ma senza effetti appezzabili. Il quantitative easing, la moltiplicazione della moneta, dal 2001. L’acquisto massiccio dei titoli pubblici pure. Al 2012 ne possedeva il 35 per cento come quota del pil, contro il 25 per cento massimo delle altre banche centrali. Dopo il 2013 ha raddoppiato la quota, al 77 per cento – il debito pubblico giapponese è il 250 del pil. Ma con esiti modesti o nulli – prezzi positivi, nei mesi buoni, dello 0,1-0,2 per cento. È che prima il Giappone pure aveva cancellato l’inflazione, statisticamente, e col lavoro e il salario non più protetti si è inabissato nella stagnazione economica, alimentata dalla deflazione: il cavallo non beve.
Se il mercato non fosse una ideologia, saprebbe che la stabilità non si impone, e come cura può essere perniciosa.

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