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domenica 22 maggio 2016

Sant’Angela Merkel, col dio Bismarck

La crisi dell’Europa non è un arcano: è l’esito della politica di Angela Merkel. Fino alla beffa di oggi, testimoniata dall’Esmt di Berlino, European School of Management and Technology: gli aiuti alla Grecia, che Merkel ha voluto insufficienti e in ritardo, sono andati per il 95 per cento alle banche - dei 220 miliardi prestati, solo 9,7 sono andati alla spesa pubblica, 210,3 alle banche. Quanto a Bismarck, è tante cose, ma dal punto di vista europeo e degli equilibri è quello che ha trasformato una nazione mite e cosmopolita in una massa di rancorosi, che si vogliono aggrediti e derubati. Già la guerra alla Francia del 1870 volle non più di eserciti ma totale e senza condizioni, se non la resa: si prese l’Alsazia e parte della Lorena, pretese i danni di guerra, benché l’avesse dichiarata lui, e proclamò l’impero tedesco nella reggia dei re francesi a Versailles, impero continentale.
Qui si parla della Germania come di “potenza satura”, “centro gravitazionale”, “potenza di centro”. Roba di sociologia politica infetta. Ridicolmente germanocentrica, poiché considera “potenze alle ali” la Russia, ieri e oggi, e la Gran Bretagna, che al tempo di Bismarck era la potenza mondiale. Mentre già Nietzsche sapeva di che si tratta. E non sfugge a nessuno che, fatta la tara dell’antisemitismo, Hitler è un concentrato di Bismarck – non nobile e anzi borghesuccio, ma non un’eccezione, non ci sono interruzioni nella storia.
Bismarck viene ritratto “stupito e turbato”. Ma era stratega e policymaker, architetto e comandante in capo. Non agiva di rimessa ma all’attacco, meglio se preventivo. Questo è oggi ritenuto normale, ma non un secolo mezzo fa, c’era ancora fair play. Mai in difesa in ogni suo atto politico in 28 anni di governo, all’esterno e all’interno. Rusconi insiste che Bismarck si opponeva alle guerre preventive che i generali gli suggerivano, mentre è vero che ne ordinò tre, contro la Danimarca, l’Austria e la Francia, e altre ne minacciò.
Del centro, o della distruzione dellEuropa
Aggiornato, quello del “centro” è il tema di Hillgruber, “La distruzione dell’Europa”: un nuovo “centro gravitazionale” che rovescia il rapporto di forza con le “ali”. Che però non rovescia, lo sfida,  che è diverso. Finendo per portare in Europa il conflitto. Non si è parlato di Brexit fino a che l’Europa non è stata impantanata nella crisi, dell’economia e dell’immigrazione. E ognuno vede il disastro della liberazione dell’Ucraina, per parlare tedesco: con l’Ucraina dimezzata.  Fra Germania e Russia non ci sarebbero vere ragioni di scontro, ma questa Germania le fa sorgere. Come con l’Italia, per dire. Per facilitare e accrescere il proprio beneficio, nazionale, sempre lamentando aggressioni e ruberie. Come fa ora l’incredibile Dobrindt, il ministro anti-Fiat, uno che quattro anni fa voleva la Grecia fuori dall’euro, e poi l’Italia..
Motivi per la Germania di fare guerra all’Italia ce ne sarebbero ancora meno che con la Russia. La Germania è il paese con cui l’Italia ha più felicemente convissuto nella storia, fino a un secolo e mezzo fa, e nelle breve Repubblica di Bonn. Si dice il rigore. Ma quale rigore? Del calcio di rigore che Merkel si assegna e tira contro l’Europa, che ha fatto e fa soffrire senza alcuna necessità, se non il vantaggio comparato per la Germania. Il rigore dell’assurda politica filoturca e antigreca. Che oggi porta Merkel a Ankara, sua meta ormai d’elezione, ai piedi di un piccolo dittatore che non nasconde di esserlo – mai nemmeno viceversa, che Erdogan vada a chiedere qualcosa a Berlino. O dell’antieuropeismo populista che avvelenerà la Germania, dopo l’Austria, è matematico, figlio di tanta arroganza – Merkel lo imputa a Draghi, e non sa nemmeno di dire una barzelletta: Draghi era un drago al tempo della “grande Bertha”, il salvataggio delle banche, soprattutto tedesche, ora è da svillaneggiare.
Rusconi esuma forse materiali residui di un bicentenario l’anno scorso della nascita di Bismarck che sono passati inosservati, salvo i suoi propri contributi. Poca roba, poco documentata, se non con politologi tedeschi. Alcuni, pochi: non c’è Habermas, c’è poco Beck, e di Streeck un’analisi quasi merkeliana, mentre è critico, forse più di Habermas – basterebbe leggere l’attacco della recensione, il 31 marzo sulla “London Review of Books”, del libro di Martin Sandbu: “Europe’s Orphan”: “L’Europa è allo sfacelo, distrutta dai suoi fans più devoti. In estate, avendo umiliato i Greci con un’altra riforma diktat, Angela Merkel ha iniziato un nuovo gioco, per divergere l’attenzione dal disastro economico e politico che l’unione monetaria è diventata.  Cambi improvvisi di politica non sono niente di nuovo per Merkel, che è meglio descritta come un politico postmoderno con un premoderno, machiavellico disprezzo insieme per le cause e la gente…”.
Un mondo di ladri e fannulloni
Merkel non c’entra con Bismarck. Ha liberato l’Ucraina con le rivoluzioni arancioni, dimezzandola. E vuole le sanzioni contro la Russia, ma non per sé, lei ci commercia liberamente. “Renaissance bismarckiana”? Sì, ma nel senso di una statemanship deteriore, distruttiva. Buona, forse, per la malsana propaganda della Germania giudiziosa, in un mondo di ladri, che s’ingozza a spese dei tedeschi. 
Si prenda il balletto indecoroso al Brennero dell’Austria-Germania invasa dall’Italia, mentre è in senso inverso che gli afroasiatici piuttosto scappano – la fiera del teutonismo post-bismarckiano, ora merkeliano. E chi ha voluto la Ue inglobata nella Nato, parte passiva? Per risparmiare qualche euro sulla politica estera e di difesa, senza la quale l’Europa non c’è. Non si può dire l’Europa umiliata da Putin, perché l’Europa non c’è. Rusconi lo fa dire all’ex cancelliere socialista Schröder nel suo libro-intervista, “Klare Worte”, che stranamente non si traduce – ma non ne tiene conto: “L’Occidente non si fida di Putin e Putin non si fida dell’Occidente”. Dopo aver detto che per “la classe dirigente russa” l’Occidente è “anzitutto la Germania”. È la Germania che ha chiuso la saracinesca, di Angela Merkel: “Ai miei tempi come a quelli di Kohl, che io ho espressamente seguito, le estensioni della Nato verso Est erano ancora possibili, perché avevamo cancellato le ansie della dirigenza russa”. Dopo non più: “Dopo di me direi che c’è stata un fase in cui Frau Merkel voleva chiaramente interrompere  la politica verso la Russia dei suoi predecessori, non solo la mia, anche quella di Brandt, di Schmidt e di Kohl”. Merkel ha perduto, ma costringe l’Europa alla sconfitta.
Ora delega alla Turchia il diritto d’asilo e d’immigrazione, a così forte caratura identitaria. A un Paese che essa stessa non ha voluto in Europa in nessuna forma. Che non ha nemmeno firmato gli accordi di New York del 1967, e quindi riconosce il diritto d’asilo ai soli profughi europei. A un regime autoritario, di un governo che è prim’attore die conflitti che generano l’esodo, in Iraq e in Siria.
Merkel si prende dalla fine, cancelliera onnipotente. Mentre è solo spregiudicata. Ha liquidato il suo partito, con la sola eccezione del fido Schäuble. Con una serie di colpi di mano, il più feroce dei quali contro il suo pigmalione – “ho bisogno di un esponente dell’Est” – Helmut Kohl, che ancora non cessa di pensarne male, non potendo più parlare. E guida la Germania e l’Europa con l’improvvisazione.
È probabilmente raro, è comunque una strana sensazione, trovarsi in disaccordo con tutto ciò che pure si legge con interesse, tema per tema, anzi riga per riga. Per di più con la sensazione costante che l’autore voglia dire il contrario di quello che scrive, con la perifrasi, l’allusione, la riserva – ma allora sarebbe un repertorio revulsivo del pensiero politico in Germania che propone, e questo non è possibile. È quello che si dibatte in Germania, tra storici e sociologi, e Rusconi, benché parte in causa, argomentatore anch’egli implausibile, avrebbe allora il grande merito di darcene conto. Ma perché tra le righe? C’è la sudditanza psicologica del germanista, ma solo quella? Come non vedere che la Germania ha cambiato natura, non solo dimensioni, con la riunificazione, rispetto a quella di Bonn?
Bismarck non c’entra nulla con Angela Merkel. Lo dice anche Rusconi: “Bismarck, per convinzione e formazione, è un antiliberale. La sua prima dichiarazione da presidente del consiglio prussian, il 29 settembre 1862, è chiara: “La Germania non guarda al liberalismo della Prussia, ma alla sua potenza”. Per imporsi al resto della Germania e al mondo, che allora era l’Europa: “La Prussia deve concentrare la sua forza e tenerla insieme per il momento favorevole che ha mancato altre volte”. Deve prepararsi alla guerra: “Le grandi questioni del nostro tempo si decidono non con discorsi e risoluzioni di maggioranza… ma con il ferro e il sangue”.
Era la Germania di Bismarck una potenza europea, come ora si vuole quella di Merkel? No, era mondiale. Il congresso di Berlino, 1878, si raddoppia nel 1885 di una congresso coloniale, con l’Africa tedesca, le concessioni in Cina, la flotta. Era la Germania all’inseguimento della Gran Bretagna, potenza allora egemone nel mondo, grazie alla flotta. Guglielmo II licenziò Bismarck per realizzare lui il suo programma, quello del cancelliere: la Grande Potenza mondiale al posto dei suoi cugini di Londra, con la flotta più grande.
Rusconi dà molto credito alle “Memorie” prolisse di Bismarck, che dice perfino ben scritte, anche contro l’evidenza, e non si capisce perché. Bismarck era un antiparlamentarista, e la prima sfida alla Camera prussiana la fa sul bilancio militare. La storia della Germania bismarckiana, quella dell’unità, è una tale serie ininterrotta di errori grossolani, le cosiddette accelerazioni della storia, che si stenta a crederli possibili. In questo senso sì, Merkel si può accostare a Bismarck.
Leading from behind
Il numero delle bizzarrie è inesauribile. Rusconi insiste, trattando l’inafferrabile “potenza di centro”, sul ruolo pacificatore della Germania nei confronti della Russia. Mentre l’ha sempre sfidata. È un dato di fatto, come ha concluso Magris quando ancora un germanista lo poteva: il “destino tedesco” si combatte con gli slavi, “nel vasto territorio e nel tempo plurisecolare del loro confronto”.  Lo stesso Schröder rabbonitore andrebbe rivisto. Rusconi amplia a dismisura il Kohl che a Mosca promette a Gorbaciov nel 1990 di finanziargli  la perestrojka, e di bloccare la Nato all’Oder-Neisse, in cambio dell’accettazione dell’unità. Mentre voleva solo incassare. E già due anni dopo aggrediva la Russia indirettamente, via Serbia, promuovendo la dislocazione della Jugoslavia – che Rusconi e i suoi storici-politologi non menzionano nemmeno: una stupidaggine e un atto efferato, che Kohl promosse all’unisono purtroppo col papa santo Giovanni Paolo II, che era antirusso e volentieri sacrificò il suo dialogo delle fedi all’aggressione.
Sui rifugiati e altri immigrati, che si avventano sull’Europa, “siriani” i più solo di nome, Rusconi fa gran pregio dell’inventiva e l’umanità di Angela Merkel. Mentre è sempre quella del “troppo poco troppo tardi”. Una che, al coperto del “possiamo farcela”, ributta le responsabilità comodamente sull’Italia che li fa passare, i “siriani”, dopo la Grecia. Come fa lo studioso a non vederla, questa è politica di tutti i giorni. E la ricetta anticrisi, che è solo questo: si fa quello che sta bene a me. E poco importa che, a causa mia, l’Europa sia ancora in crisi mentre il resto del mondo è tornato da anni a galoppare. Nella crisi peggiore dell’economia moderna. Questo si chiama mercantilismo. È il proprio del capitalismo avvantaggiarsi delle difficoltà altrui – la concorrenza. E come disegno di politica economica è il cuore dell’imperialismo, senza le armi. Egemonia sì, ma di forza.
Rusconi giunge perfino, qui non c’è ironia possibile, a tenere conto del “Draussen”, del mondo esterno, al modo come i piccoli tedeschi ne tengono conto, di un mondo fannullone e ladro. Magari correndo a salvarsi dagli immigrati, come oggi fa da Erdogan, avallandone la politica fascista, dopo aver rifiutato le richieste della Turchia e dello stesso Erdogan di negoziare uno statuto europeo. La crisi degli immigrati oggi è peggiore di prima? No, prima la Germania aveva bisogno di forza lavoro a buon mercato, ora vorrebbe limitare i flussi. Dov’è la preveggenza, dov’è il disegno politico e strategico? Quali sono i fondamenti della pretesa egemonia?

L’egemonia tedesca si vuole con aggettivi, e questo dice che è una cosa che significa un’altra. “Riluttante” per l’“Economist”, “dimidiata” per il vecchio Dehio, “vulnerabile” per Rusconi, “satura” per altri – satura? E non si sa che cos’è, a parte fare i propri affarucci. In questo Merkel eccelle. E in che altro? L’“Economist” di cui tanto Rusconi fa conto, ne consacra il metodo come un “leading from behind”, che, forse involontariamente, dice tutto. Bismarck oggi è semplice: perché lEuropa è imbarbarita?
Gian Enrico Rusconi, Egemonia vulnerabile, Il Mulino, pp. 171 € 14

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