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venerdì 27 maggio 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (287)

Giuseppe Leuzzi

Un solo film, tardo, e a basso budget. Anzi no, un film d’autore, quasi da superotto, “Fuocoammare”, il film di Gianfranco Rosi. Su un luogo, Lampedusa, e su una serie di vicende, gli sbarchi in massa, le morti in massa, i salvataggi, i soccorsi, gli sos, che altrove avrebbero suscitato una letteratura e una filmografia. Un delirio d’immagini, tutte potenti, di personaggi, tutti fuori norma, di situazioni. E un solo film. Quasi autoprodotto. Se Lampedusa fosse stata a Genova, oppure al Lido di Jesolo?

Il film di Rosi, premiato a furor di giuria a Berlino, è stato peraltro poco visto in Italia, poco raccomandato. I critici rispondono solo ai grandi produttori, Berlusconi, la Rai, Sky. Ma non è tutto: non ha funzionato nemmeno il passaparola. Il leghismo ottunde i sentimenti.

Falliscono le banche venete. Tra ruberia e malversazioni. Non una, per caso, per un errore, per la disonestà di un amministratore. No, falliscono (cioè non falliscono) a grappoli – in altra area si direbbe che “fanno sistema”. Piccole, medie e grandi. E niente: una inchiesta? una indagine? una moralità? Anzi, quasi non se ne parla, se non con riverenza, quando non con ammirazione. Niente questione morale, niente tare ereditarie, niente mafie. La deprecazione si conserva contro le retribuzioni dei funzionari pubblici siciliani. Anche contro la malasanità a Vibo Valentia, peraltro minore che a Niguarda.

Seriamente, qualora fosse possibile: è il Sud, la Sicilia, che vive al di sopra dei propri mezzi, oppure il Veneto?

L’unità a Custoza
Non si tiene conto di Custoza, di cui si vanno a celebrare i centocinquant’anni tra un mese, nella storia dell’unità d’Italia, ed è una mancanza grave. La “battaglia” vide protagonisti i protagonisti reconditi della stessa unità, Vittorio Emanuele II, Lamarmora, Cialdini – reconditi nel senso che ne furono protagonisti, malefici, quelli che la fecero fallire, ma non si dice
Il terreno era infido, bisogna riconoscere: due volte l’Italia sfidò l’Austria a Custoza, e due volte beccò.  Ma la prima vide Carlo Alberto fronteggiare con abilità e coraggio le truppe preponderanti di Radetzky per quattro giorni, dal 22 al 25 luglio 1848. La seconda volta vide suo figlio Vittorio Emanuele II in concorrenza con i suoi generali preferiti Lamarmora e Cialdini, per la “vittoria certa”, e quasi una lezione all’alleata Prussia di Bismarck, che tardava a dare battaglia all’Austria: 150 mila uomini contro la metà degli austriaci, e 400 cannoni. Due o tre volte l’organico e i mezzi di Napoleone a Austerlitz. E un avversario attestato in pianure indifendibili. Ma ognuno combatteva per la sua gloria, cioè non combatteva: la battaglia in realtà non ci fu, la sconfitta fu autodichiarata.
Un generale non della cricca, Giuseppe Govone, riuscì a prendere Custoza attacando da Ovest. A quel punto bisognava continuare l’attacco – lo “sfondamento” - ma nessuno si mosse. Il comandante delle divisioni attestate a Villafranca, 5 km. da Custoza, Della Rocca, uomo del re, si rifiutò di marciare. Cialdini, schierato a Sud, sul Po, invece di attaccare si ritirò. Fu il segnale di una lotta tra generali per rinfacciarsi una sconfitta che non cera stata – anche come perdite, gli austriaci ne avevano avute di più, le truppe italiane mantenevano integri l’armamento e gli effettivi schierati. Alfonso Lamarmora era capo del governo e comandante in capo delle forze armate.  
Lamarmora e Cialdini, governatori a Napoli subito dopo la consegna del Regno a Vittorio Emanuele da Garibaldi, e poi alla testa della lotta al “brigantaggio”, sono i principali artefici di quella che sarebbe diventata la marcia questione meridionale. Sbarcarono a Napoli con un disprezzo, totale, irrimediabile, e la stessa scienza militare che mostreranno a Custoza applicarono subito (im)politicamente all’unificazione.  

Mafia antimafia
Mafia e antimafia
Si moltiplicano gli arresti nella “terra dei fuochi”, tra Napoli e Caserta, una volta la parte più proficua della Terra di lavoro,  per i rifiuti tossici. Senza ancora un processo dopo tanti anni. E senza ritrovamenti dei rifiuti tossici indicati dai pentiti. Non si scava abbastanza?
E come si fa la bonifica se non si di che rifiuti si tratta?
Si tratta di dare qualche appaltino agli ambientalisti?
Di dare un'occupazione riposante agli inquirenti - basta lo scandalo?
Rifiuti così velenosi e nessuna urgenza?
È una storia metropolitana – Napoli e Caserta se ne gloriano, quasi?
Ma i rifiuti tossici da qualche parte verranno pure. Ospedali, aziende. Per ché non si tracciano le fatture? O, peggio, che le fatture non ci siano? Non ci sono responsabilità in chi le ha cedute, a operatori ecologici non affidabili, per trattamenti non adeguati?

C’è una strana voglia di mafia a Roma. L’hanno innestata Pignatone e Prestipino e si può capire, sono siciliani, anzi palermitani, e non  hanno altro argomento. Ma si vuole la mafia per affittopoli, che è invece una fatto di corruzione romana , “normale”, nota a chiunque e da alcuni decenni anche denunciata, protagonisti ricchi e poveri, destre e sinistre, preti e magiapreti, chef stellati e centri sociali.
Da qualche tempo la mafia viene estesa al litorale, che per averlo frequentato, come altri milioni, si può attestare che non ha proprio nulla di mafioso. Ci sono abusi – si vedono – come dovunque, una duna mediterranea spianata per il punto ristoro, un chiosco bar al centro della profonda spiaggia, utile ma certo non concessionario, etc.. Ma roba di capoccioni che si sono fatti da sé, qualche famiglia di rom, qualche altra di veneti sfuggiti alla bonifica. Dov’è la mafia?
Voglia d’infangare Roma? Non gliene frega nulla a nessuno, Roma è abituata agli invidiosi. Vendere una copia in più? Semmai il giornale non si compra più per questo: troppo contato, noioso. Un lavoretto semplice semplice per gli inquirenti? Questo è possibile: polizie e giudici s’acquattano dietro il concorso esterno in associazione mafiosa e tornano a dormire – o intrattenere l’amante, qualcuno ce l’ha.
Ci sarà un giorno un’antimafia che colpisca questo tipo di corruzione “romana”, dell’abulia degli inquirenti?

La mafia, dove non c’è, è noiosa.

Non c'è la mafia a Palermo. Non più dopo Riina e Provenzano, dopo gli ultimi fuochi contro  Falcone e Borsellino. Giusto un fantomatico Messina Denaro, che magari esiste anche.
Di fatto si processato i Carabinieri. Da parte di altri Carabinieri. E dei giudici palermitani, che altrimenti si annoierebbero - in attesa di un posto a Roma, anche solo al Csm ora che non ci sarà più il Senato.
Questi processi sostitutivi sono talmente inventati che perfino i giudici di Palermo non possono fare a meno di mandare assolti gli imputati.
Ma la filiera sembra inesauribile. Assolti Mori e Obinu, si processano i Carabinieri di Mori e Obinu,  per falsa testimonianza. E c’è sempre, minaccioso, lo Stato-mafia – idea geniale del giudice Morosini.
Con Morosini non comincia, però, la decadenza? È il primo giudice che dovrà accontentarsi del Csm, non essendoci più, si spera, il Senato. Dove non si fa nulla, come al Csm, ma s’incassano 30 mila euro al mese, metà assegno, metà rimborso spese a forfait – la parte assegno per tutta la vita.  

Milano
Ci si meraviglia dell’utero in affitto. Delle madri in affitto chicanas o filippine. Mentre il business era in fiore, e in luce, a Milano, con “modelle” a caccia di mille euro. Presbiopia? Ipocrisia? Milano per un po’ si nasconde. Poi si perdona. E poi Antinori ha quel nome toscano. .

“Sulla cessione il nodo sono io: resterei altri tre anni ma i cinesi mi vogliono cacciare”: è proprio Berlusconi, il decisionista indeciso a tutto. Un imprenditore che non sa che comanda uno solo.
O la verità è, com’è probabile, un’altra: che i compratori non “sganciano”.

La vendita a cinesi sconosciuti. Che parlano un linguaggio ignoto ai più – la fidejussione è la stessa ovunque, ma per questi cinesi evidentemente no. Tramite un mediatore italo-americano, Sembra una commedia alla Totò e Peppino, ma tutto è top, trattandosi di un affare meneghino, la cessione del Milan.

Altrove approdano sceicchi con montagne di soldi, a Parigi, a Londra, in Spagna, in Germania. A Milan sedicenti affaristi afroasiatici. Ci sarà una ragione?

Muti cacciato vent’anni fa ritorna alla Scala, dove da un pio d’anni gli fanno ponti d’oro. Ma ci torna con la sua orchestra, La Chicago Symphony. Contro cioè l’orchestra della Scala che lo cacciò. Ma tanto basta per dire: “La sua Scala lo sta aspettando”. Dopo che si è perdonata, Milano si consola.

Muti mette gli accenti sulle i: “Oggi non no nessun rancore verso il teatro. Ognuno di noi può commettere errori, però una cosa me la riconosco: di aver messo in quegli anni tutto me stesso”. Si vede che Muti non è di Milano: ha un’altra logica.
Mai un’autocritica, neppure un accenno, da parte dell’orchestra e della direzione della Scala, che cacciarono Muti. Erano gli anni del sindaco leghista Formentini - Muti è di Molfetta.

Nessuna autocritica nemmeno oggi, che Muti dice, rivendicando il suo proprio impegno: “Si vede dal repertorio sinfonico e operistico che ho diretto e dalla qualità dell’orchestra”. Sottinteso: allora – oggi nessuno invita più l’orchestra della Scala, troppi poltroni (ma anche questo, non si dice).

Milano tiene molto all’Europa, e si paragona a Francoforte. È giusto, se, come il cav. grand’uff. Marinetti scriveva alla signora Rachilde, “la città è essenzialmente tudesca”.  Ma è evidente che i milanesi, abbonati a Montecarlo, o anche solo a Santo Domingo, non sanno più com’è fatto il mondo dietro Chiasso.

Tangentopoli. Ci voleva un prete, gesuita per di più, per dirne senza lamenti la portata: “Una sorta d’infezione che intacca il senso di lealtà sociale, fondato sulla parola data, sul mantenimento delle promesse, sull’equità delle relazioni. Ne consegue la sfiducia, la quale porta ciascuno a preoccuparsi di sé. Il danno è grave, perché la società si basa sulla fiducia”. Con altre parole – la corruzione “bianca” – c’era arrivato già otto anni prima dei giudici.

Ma Carlo Maria Martini, cardinale e arcivescovo di Milano, era un prete speciale – scelto da un papa che non amava i gesuiti. Non milanese (era piemontese), si faceva le sue vacanze come tutti, come cápita, ed era capace di camminare, anche per ore, anche da solo.

leuzzi@antiit.eu

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