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mercoledì 13 giugno 2018

Secondi pensieri - 349

zeulig


Armonia – Si vuole disarmonia. Cioè un’estetica della morte. Non arte.
L’arte non può essere della morte, la morte non è vita. Se non dialetticamente: ma allora è una disarmonia-per-l’armonia, non la dissonanza infinita che viene inflitta, in musica e nelle arti visive.

Colpa – È generalizzata, per quanto informe, in una col sentimento di crisi e di morte. La Colpa è ora  di tutti, tedeschi e non, per essere morti dentro, la “colpa metafisica” (Jaspers).
Individualmente il suicida può pensare, come John Donne in un momento brutto per la carriera: “Possiedo le chiavi della mia prigione”. Scriverci sopra anche un trattato, come il decano di Saint Paul Donne fece – un Biathanatos che non è una morte doppia ma una sorta di morte vissuta: “Questo peccato non è irremissibile”. Ma ci pensa il suo essere-al-mondo a disilluderlo, il “si” indistinto che solo si occupa di morire, prima è meglio.

Coscienza – Il problemino di Kant, “Su un preteso diritto di mentire per umanità”, è oggetto di vasta cas(u)istica . Una è questa, nella sintesi del suo oppositore Constant: “Davanti a degli assassini, che vi chiedessero se il vostro amico, che stanno inseguendo, si è rifugiato in casa vostra, la menzogna sarebbe un crimine”.
Ma non si può costringere una persona a un’azione contraria alla sua coscienza, non liberandolo dalla responsabilità. Caillois ha, in “Ponzio Pilato,”, un Cicerone-Xenodoto che lo argomenta – in un libro che Cicerone non scrisse, “De finibus potentiae deorum”, sui limiti della potenza degli dei, nel quale avrebbe ripreso le argomentazioni teologiche e filosofiche di un non altrimenti noto  Xenodoto – a meno che non fosse il filologo, organizzatore della biblioteca di Alessandria ma reputato dai successori per la sua “ignoranza”, in quanto editor di Omero, Esiodo e altri. Da Xenodoto-Cicerone, Caillois-Ponzio Pilato si fa dire che “le divinità, gli astri, le leggi cosmiche, lo stesso inesorabile Destino”, messi insieme, “non potevano costringere il Giusto a un’azione che la sua coscienza gli proibiva”.
Ma la coscienza di Caillois-Cicerone-Xenodoto non può sottrarsi alla legge, o alla conformazione di male e di bene.

Ideologia – Se ne censisce in continuazione il tramonto, mentre è più viva e potente di prima. Dominante anzi, totalitaria: quella del “pensiero unico” – non si nasconde neanche. Non c’è altro modo di leggere il mercato, specie nell’opinione italiana. Specie, paradossalmente , nella sinistra politica, in Italia, da Veltroni a Bersani, Vincenzo Visco, il Berlinguer ministro. Per incultura, e per cattiva coscienza – il pensiero liberale sa, sapeva dalla origini, che la libertà va regolata. 

Machiavelli – “Il Principe” è per il popolo, un incitamento alla rivolta. Tesi ardita, essendo “Il Principe” rivolto ai principi come arte del governo, ma non peregrina, che Laurent Binet, il giallista-semiologo della “Settima funzione del linguaggio” fa sostenere alla Vecchia, in dibattito critico col regista Antonioni a Bologna, al Logos Club di cui Eco è il Gran Protagora. “Il Principe” non è un manuale di dominio ma di liberazione: “Gli arcani del pragmatismo politico sgombrati  dalle fallaci giustificazioni divine o morali. Gesto decisivo nell’affrancamento umano, come ogni gesto di desacralizzazione”. Machiavelli è l’intellettuale nella sua forma migliore, “un liberatore”.
La Vecchia ci arriva per due vie. Perché Machiavelli di fatto si appella al popolo - «Perché quello del popolo è più onesto fine che quel de’ grandi, volendo questi opprimere, e quello non essere oppresso»”. E perché “in realtà, non scrive «Il Principe» per il duca di Firenze, poiché l’opera è diffusa ovunque. Pubblicando «Il Principe», Machiavelli rivela verità che avrebbero dovuto restare nascoste e riservate a uso interno dei potenti esclusivamente: atto sovversivo, atto rivoluzionario”.
La Vecchia è la gestora dell’Osteria del Sole, allora (1980) come oggi noto ritrovo bolognese, la comunista integrale. “L’opera che passa per il colmo del cinismo politico”, esordisce nel dibattito col regista che la vedrà vincente, “è un manifesto marxista definitivo”,

Marx e Heidegger – Manca, nel revival di Marx per i 150 anni del “Capitale”, ma si può fare – sarebbe anche d’obbligo. Essere e avere non è solo un titolo di Gabriel Marcel, se essere è avere. L’essere è se stesso: storia, classe e Volk-corpo sociale. La fisicità è l’eterno incomodo del pensiero occidentale, da Kant, e gli altri scozzesi liberali, ai padri della chiesa. La fisicità eleva e razionalizza il possesso. E la morte che viene in primo piano esorcizza la violenza, in quanto rivoluzionaria.
Si può fare un “Heidegger e Marx”, il materiale non manca, come sempre nella filosofia tedesca. E Hiedegger, benché antisemita, potrebbe non protestare – tentò delle avances  antioccidentali al sovietismo, negli anni dopo la guerra, quando era in disgrazia. Qui e là la mobilitazione è totale, si aderisce alla storia con tutto l’essere. Che dice Heidegger? Il comune essere storico è uno smarrimento di sé nell’ambito di ciò che è storico: la non-storia. Un tale smarrimento del nostro essere è necessario alla storia. L’essere storico è una costante sempre nuova scelta tra la non-storia e la storia nella quale siamo. Entrare nella storia non significa entrare nel passato. Se un popolo entra nella storia, entra nel futuro. Se esce dalla storia non ha più futuro. Esso entra nella storia (passato) nella misura in cui esce dalla storia (futuro). La possibilità di accesso alla storia si fonda sulla possibilità che un presente sappia sempre essere-per-il-futuro. Ciò che “ha una storia” è coinvolto nel divenire. È nell’essere-per-l’avvenire che l’esserci è il passato.
Heidegger lo dice e lo ripete: “La possibilità di accedere alla storia si fonda sulla possibilità che un presente sappia essere di volta in volta futuro”. È a partire dal presente che si fa entrare nel conto il passato, e in vista di ciò che è presente. È per esso che si pianifica il futuro: “Quando girano le eliche di un velivolo non accade propriamente nulla. Ma se il velivolo porta Hitler da Mussolini, allora accade la storia. Il volo diventa storia. La storia è cosa rara”
L’identificazione più sottile l’aveva individuata Hannah Arendt, l’innamorata che Heidegger non leggeva: “Il pragmatismo, anche marxista e leninista, muove dal presupposto, comune a tutta la tradizione occidentale, che la realtà riveli all’uomo la verità, il totalitarismo presuppone solo la validità delle leggi del divenire”. Dell’esistere, senza leggi. Un’identificazione da intendersi, naturalmente, come sorpassamento. Le idealità e incertezze delle società fondate sulla volontà libera degli associati sono false e ostili. Ogni forma associativa, ogni appartenenza, che sia di tipo razionale e politico oppure consuetudinario e mistico, che non si fondi su una comunione fisica, d’interessi e di determinazioni materiali, è ostile. E tuttavia – ecco Marx e Heidegger uniti nella lotta - la mia verità è la verità. E deve fondare un mondo nuovo: la rivoluzione dei fatti discende dalla rivoluzione delle idee, a esse il mondo va conformato. La verità è conquistatrice. Gli uomini non sono inchiodati all’Ente nella soddisfazione dei bisogni vitali, non sono rassegnati.

Morte - A lungo si privilegiò nei simboli cristiani l’Incarnazione rispetto alla Morte, fino al Rinascimento, che per questo è pieno di dipinti osceni della Madonna col Bambino. E nella teologia dell’Umanesimo, il secolo che preparò la Riforma – che la chiesa si fece poi cancellare dalla polemica luterana. Non da molto tempo, ma con più insistenza e ripetitività, si fa il contrario, anche nella cristianità: non c’è altro che la morte, non si parla d’altro, e la stessa forma del pensare se ne fa la sua unica ragione – transeunte e non durevole, non nelle intenzioni, il perire e non il permanere. Culminando nello heideggeriano “la storicità autentica è l’essere-per-la-morte” – anche se Heidegger in lungo e in largo argomentava altrimenti: “La storia è il tratto specifico dell’uomo? Pure i negri sono uomini, ma non hanno una storia. Anche la natura ha la sua storia? Ma allora anche i negri hanno una storia. Non tutto ciò che trascorre entra nella storia”, la storia c’è quando non c’è, etc. (per il demonismo del profeta - oppure connesso alla lettera H, cui si devono pure Hitler e la Bomba?).

zeulig@antiit.eu

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