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giovedì 14 giugno 2018

La credulità dell’incredulità

Una lettura stranamente attuale, nel millennio dell’incredulità diffusa. Nemmeno professata, fattuale – il problema non si pone. Non è la prima volta che l’incredulità viene data per scontata, nello stesso clima di scientismo, come questo degli acceleratori miliardari di particelle. .
Febvre scrisse questa lunga trattazione per criticare il peccato di anacronismo: contro un Novecento, siamo a metà secolo, che leggeva il Cinquecento con i criteri del positivismo. Lo fa da storico, laico, quale era – l’attualizzazione è un peccato di anacronismo, micro, per dirne l’intelligenza. Il pensiero di Rabelais – Rabelais era un pensatore fervido, oggi si direbbe multidisciplinare -  ravvicinando a quello di Erasmo un sicuro credente. Sotto le facezie d’uso, anche da parte di Erasmo. Con una rilettura del testo ateo per eccellenza dell’epoca, il “Cymbalum mundi”. Di un Des Periers di cui altro non si sa. In un secolo chiacchierone e pettegolo. Che straparla – una novità? Un dialogo tra Lutero (“Rhetulus”), Bucer (“Cubercus”) e Erasmo (“Drarig”, Gerardo – il nome del padre di Erasmo), ognuno dei quali pretende di avere un pezzo esclusivo della pietra filosofale apportata sula terra da Mercurio – la verità. Una caricatura vivace dei tre discussant, che avrebbe potuto ben essere di pugno di Erasmo. La cui sconfitta nella discussione – la sconfitta della riforma cattolica – è una vittoria. Il Cinquecento era un secolo che “non può non credere”. Anche se per la ragione sbagliata, alla vigilia delle guerre di religione.
Lucien Febvre, Il problema dell’incredulità nel secolo XVI. La religione di Rabelais

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