Cerca nel blog

domenica 27 settembre 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (437)

Giuseppe Leuzzi

Conrad ha “il tipo del giovanotto italiano del Meridione”, nel racconto napoletano “patetico” del “Gruppo di sei”, “Il Conde – Vedi Napoli e poi muori”: “Carnagione chiara e pallida, labbra rosse,  baffetti neri e neri occhi liquidi, così meravigliosamente espressivi nella tenerezza e nel cipiglio”. Di uno che riserva sorprese, camorriste.
 
Trovando sul tavolo di Carlo Levi a Roma nel 1951 due caciocavalli in forma di “statuette di cavalli”, Sartre chiede: “Sono africani? Etruschi?” “Sono formaggi”, risponde Levi, “me li mandano dalla Calabria”.Sartre:  “Si direbbe gres”. Levi: “Più si scende al sud e più i cibi si avvicinano alla pietra o al legno morto. Per forza: bisogna conservarli a lungo”.
Il Nord non fa conserve, o allora di porcellana? È lo stesso Levi del “Cristo s’è fermato a Eboli”. Bisogna reinterpretarlo?
 
“Diminutivi e vezzeggiativi”, Mimmo, Mico o Mimì, Nino, Totò, ‘Ntoni o Ninì, Sasà, Pepè, Rorò o Nanà, “per evitare di chiamare qualcuno Domenico, Antonio, Salvatore, Giuseppe o Fortunato”, Walter Pedullà riconduce allo “stato infantile caro alle madri” (nelle “memorie di un nonagenario” in uscita, “Il pallone di stoffa”, 71-72) – con quei Mimì, Sasà, Nanà e Pepè non si invecchia mai”,
 
Se l’Africa fosse stata in Europa
La fotografa americana Maxine Helfman ha avuto l’idea di sostituire volti neri a una serie di ritratti fiamminghi del Seicento – il tipo del viso contornato da “cornette” (copricapi con le ali), gorgiere o soggoli, merletti, candidi sulla veste rigorosamente nera - sotto il titolo “Historical Correction”. Come a dire che sarebbe stata un’altra storia se le africane e gli africani in Europa o in America fossero stati commercianti o baroni invece che schiavi. Ma la cosa non si presenta bene, i visi africani sul “nero spagnolo” (americano in realtà, la nuova tintura veniva dal Nuovo Mondo), che trine e merletti candidi non ravvivano, anzi scuriscono. Gli africani probabilmente si sarebero vestiti colorati, nonostante la Controriforma o il puritanesimo.
La storia naturalmente non si rifà, ma anche a ipotizzarla diversa, bisogna ipotizzare, quela è, l’Africa diversa dall’Europa, il nero diverso dal bianco. Senza contare che “l’Africa ha più storie e più geografie”, come Igiaba Scego scrive sul settimanale “D”, a commento della collezione di Helfman -  “e anche gli afrodiscendenti partecipano a questa molteplicità di storie”.
Mettersi nelle scarpe, sulle orme, degli altri, i più ricchi, fortunati, intelligenti, potenti, è una cosa buona e cattiva. Se è un camuffamento. Per essere bisogna solo affermarsi: Anche differenziandosi – differenziarsi è più produttivo, per esempio oggi. È la chiave – e il problema – delle teorie dello sviluppo. Nei mercati come nelle culture: integrarsi al meglio ma non cancellarsi, copiare ma non dssolversi, aggiungere e, se possibile, senza diminuirsi.  
 
La fame a Gerace
Presentando il libro della sua vacanza con tre amiche in Turchia, “Quel tipo di donna”, Valeria Parrella ricorda che la madre di una di loro “insegnava in un istituto magistrale di un paesino della Calabria. Un giorno, per l’apertura della Upim di Crotone, organizzò un’uscita della classe: nessuna delle ragazze aveva mai visto un grande magazzino. Un’altra volta le porta a Taormina, e loro s’incantano davanti alla scala mobile, anche quella mai vista prima nella vita”.
Fatta la tara della “Calabria” dei napoletani, l’aneddoto è verosimile. Fra i quaranta e i cinquanta, a giudicare dalla foto, le amiche in viaggio, l’aneddoto si riferisce ai tardi anni 1960-primi 1970. Cinquant’anni fa, appena. Riguarda ragazze fra i 14 e i 18 anni. E l’istituto magistrale non poteva essere che di Crotone (ora l’hanno chiuso), non di un paesino: non c’erano scuole superiori nei paesi, nemmeno le medie. Crotone era già un “polo chimico” (anche questo chiuso, inquinava). E s’intitolava un premio letterario rinomato, con Debenedetti e tutta l’intellighentsia Pci. Che però erano mondi a parte. Ora Crotone ha l’aeroporto, molto turismo, molta inventiva, anche ambientale, molte produzioni agroindustriali, e gioca in serie A.

Anche Pasquale Clemente, un amico ora morto, aveva un ricordo analogo, di un altro luogo dello Jonio, il versante calabrese ora in spolvero ma povero e semiabbandonato non molti anni fa. Insegnava materie tecniche nella scuola media di recente istituzione a Gerace. E ricordava classi cenciose, benché pulite, e smagrite, di ragazzi che spesso si addormentavano, come sfiniti. Un giorno che si era portato in classe un pane, un “pane di grano”, di due chili, come allora usava, cotto a legna dal fornaio locale, che al nostro paese non si faceva più, vide che i ragazzi lo guatavano, e propose una pausa: “Assaggiamo questo pane, se è vero pane di grano”. “Fu divorato”, ricordava, “senza vergogna”. Lo rifece con lealtre due classi, e diventò un’abitudine, di cui nessuno si vergognava. La scuola media obbligatoria è stata istituita a fine 1962, il ricordo di Pasquale era quindi degli anni anni a metà del 1960. 
“Avevamo tanta fame che avremmo sgranocchiato il legno”, ricorda di qualche anno prima Walter Pedullà a Siderno, poco distante, nelle memorie, “Il pallone di stoffa”. Oggi, ma già da alcuni decenni, Gerace è un borgo d’arte, restaurato, rinnovato, e uno dei posti più prosperi, oltre che meglio tenuti e più belli, dello Jonio e della Calabria.
La geografia economica è mutevole, anche in breve periodo, basta l’impegno, anche poco – e l’ingegno, certo.

L’Italia va vista dal Sud
Il modo giusto per conoscere l’Italia è – come questa rubrica da tempo sottintende - dal Sud. Arrivare dal Sud è la raccomandazione di Ernst Bloch in uno scritto poco conosciuto dei suoi tanti sull’Italia, dove viaggiò spesso negli anni 1920 - una parte di questo scritto è stata tradotta in “Dadapolis”, l’antologia di opinioni su Napoli voluta e stampata dagli editori tedeschi una trentina di anni fa come omaggio all’Italia ospite della fiera del libro di Francoforte.  
“Si “scende” in Italia, dalle Alpi, questo non va bene”, esordisce il filosofo: “Si visita questo Paese in modo sbagliato. Portandosi dietro desideri e immagini fuorvianti, o perlomeno unilaterali. Sicché molto dela vita italiana finisce per sfuggire”. Perché  l’Italia non è “classica”, come in Europa si pensa, e al Sud questo è evidente: “Nel Sud non esiste soltanto la misura classica, che esso sembra peraltro non stimare troppo”. Gli uomini e le stesse cose. “Non solo l’animale uomo che lì fiorisce così variopinto si oppone alla nobile semplicità e alla composta grandezza”,  che si presumono della classicità, ma anche le cose: “Non tutte le cose vi riposano ferme nella luce, nella loro bella forma antica e ben definite in ogni parte”. Ovuqnue eccessi, eccezioni, sregolatezze - quello che si sa, che si legge, in parte anche si vive.
A meno che la classicità non sia quella costruita in epoca umanistica e rinascimentale – che potrebbe avere preso, molto o poco, dalle pratiche e le forme d’oltralpe, iperboree. Che sia come l’architettura e la statuaria greche, che erano dipinte e variopinte, non così semplici, levigate, serene come il museo ora le rappreenta.
 
Il senso della mafia
Conrad, benché di poca esperienza in Italia, e di quasi nessuna del Sud, ma uno che ha vissuto, prima di scrivere, dà nel racconto napoletano “patetico”, “Il Conde”, il senso vero della amfia, del suo impatto, della sua forza dissolutrice – perché la mafia è dissolutrice, checché ne dicano i suoi tanti aedi millennial. Il cachet proprio della prepotenza mafiosa, dietro le sociologie da caserma, dell’omerta, il familismo, la vendetta, il giuramento, il “santino”: è la prepotenza.
Conrad non lo dice ma lo racconta. Un gentiluomo del Nord che per ragioni di salute e convenienza sverna a Napoi, felice nella sua modesta routine di uomo senza problemi, una persona pregevole e gradevole sotto tutti gli aspetti, ha una brutta avventura una sera, che passeggia sovrappensiero, acoltando la banda che suona nei giardini pubblici, alla Villa Nazionale. Viene derubato con  la minaccia di un coltello da un giovanotto azzimato, un viso sconosciuto che aveva notato al ristorante dell’albergo, e il sigarettaio gli ha sussurrato di passaggio essere un camorrista. Di fatto non viene derubato, poiché non ha soldi con sé, non ha gioielli addosso, a l’orologio porta di poco conto. Ma l’umiliazione lo sopraffà, l’aggressione senza risposta possibile. “Da quanto potei capire”, dice il narratore di Conrad, “era disgustato di se stesso. Non già del suo contegno. .. No, non era questo. Egli non provava vergogna. Era nauseato dall’idea di essere stato vittima di tanto disprezzo, più che del furto in se stesso. La sua tranquillità era stata empiamente profanata. La sua lieta, serena visione del mondo, che l’aveva accompagnato per tutta la vita, era stata sfigurata”.
Lo sconforto contagia pure il narratore: “In quell’oltraggio premeditato vi era una sfrenata insolenza che sgomentò me pure”. L’oltraggio premeditato. E la sfrenata insolenza.
 
Calabria
Partono dalla Turchia, curdi, iraniani, iracheni, afghani, e arrivano tra Roccella Jonica e Crotone, la vecchia rotta della magna Grecia, molti in barca a vela. La Magna Grecia, le migrazioni, furono disegnate dalle correnti, dai venti.
 
Satireggiando Salvini, Michele Serra scrive oggi sull’“Espresso”: “Ora la sua leadership viene messa in discussione perfino nelle sezioni leghiste dell’Aspromonte, fino a pchi mesi fa una sua roccaforte, ora devotissime a Zaia”. Che è vero, la roccaforte: il capo della Lega è senatore della Calabria – Zaia non si sa, per ora siamo al “chi è questo?”
 
I migranti arrivano dalla Turchia in Calabria, tra Roccella e Crotone, non in minor numero che a Lampedusa, non con più sicurezza - invece dei gommoni vecchie barche a vela – e non senza infezioni contagiose. Accolti in strutture piccole e  minime, ognuna delle quali con problemi di contagi indotti dagli arrivi. Con pochi rimedi, né per la prevenzione – nessuno va a trattare la questione in Turchia – né per l’accoglienza: la Calabria è come se non esistesse. Un mondo che non sa comunicare, e non sa contare, farsi valere.

“La cosa terribile della Calabria è l’invidia, è tremenda”, diceva un anno fa a Patrizia Capua , “le Repubblica” (16 giugno 2019), Eleonora Acton, la nobildonna di Cannavà, borgo di Rizziconi, nell’agro di Gioia Tauro, dove ha sede l’azienda agricola di famiglia, 300 ettari, che lei a lungo ha gestito, col marito Pierluigi Taccone. Zona di ‘ndrangheta, da cui si è dovuta salvare con un lungo soggiorno a Napoli,  e il marito ha faticato a fronteggiare. Ma l’invidia è più distruttiva.
 
La Regione Calabria, di centro-destra, appalta a Gabriele Muccino un documentario promozionale per il turismo al costo di 1,7 milioni – cifra paperoniana. Muccino si vuole di sinistra ma accetta volentieri. Bisogna punire la dabbenaggine?.
 
Reggio si scopre con sorpresa una delle città in cui si legge di più, si leggono libri. Scesa in un anno dal 51.mo posto, fra le città capoluogo, al 37mo.

Lombardo, Lombardi  è il cognome più ricorrente in Calabria dopo quelli greci, e Morabito, che è arabo.
 
S’intendono Platì, San Luca, paesi che non riescono a farsi un sindaco, di sequestri di persona e ogni altro traffico sporco, di ‘ndrangheta e di spaccio, come due centri chiusi, cupi, remoti. Invece guardano il mare da cui distano pochi minuti, e raggiungono agevolmente, San Luca in macchina una decina di minuti al più, a piedi un’ora e mezza, Plati il doppio, su tratturi e strade semplici e quasi in rettilineo, senza scoscendimenti, lungo i torrenti. Non è la geografia che fa le “razze”, i “caratteri originari” della Enciclopedia Einaudi.
 
Era “calasebrella” il terziglio, gioco di carte comune nelle osterie e ritrovi popolari in tutta Italia a fine Ottocento – variante del tresette a tre giocatori. Fucini la mette al centro della lite tra amici del racconto “La pipa di Batone” (“Veglie di Neri”).
 
Si organizza in Calabria un Cammino Basiliano, sulle orme del vecchio ordine monastico greco-otordosso rifugiatosi nella penisola nel VII secolo, per sfuggire all’iconoclastia di Bisanzio. Sulla traccia del Camino de Compostela (Santiago) e altri itinerari di escursone religiosi – la via Francigena, per esempio, che stenta a decollare da un cinquantennio ormai, la via dei pellegrini dal Centro Europa verso Roma. Con questa presentazione: “Il Cammino Basiliano – 1.040 km da Rocca Imperiale a Reggio Calabria , 77 tappe, 149 borghi – permetterà di conoscere monasteri, chiese e fortezze orientali, che evocano le atmosfere del Monte Athos, dell'Armenia, della Siria e della Turchia, e castelli, chiese e monasteri latini, al punto che al visitatore sembrerà di trovarsi in Germania, Framcia, Belgio, Spagna, o in Inghilterra”. Niente di meno.
 
Si scoprono ora ovunque “chiese” (rovine) bizantine. Dopo la scoperta, con trentanni di ritardo, malgrado le tante rappresentazioni che della cosa sono state fatte dove si decide, che ci sono fondi europei per le civiltà minori. Senza però progettare o comunque mettere in moto i fondi europei: si scoprono i tanti sant’Elia disseminati nella penisola col gusto dell’antichista. Una volta stabilito che il sito è bizantino, la soddisfazione è colma.
 
Quando in Grecia scoprirono, negli anni 1980, i fondi europei per il recupero culturale, i mille santi e chioschi bizantini abbandonati per il paese furono recuperati e rinnovati. In non più di cinque anni. C’è Grecia e Grecia? O l’eredita della Magna Grecia è infetta?
 
“Testa di calabrisi” ricorre ancora nei racconti di Camilleri, per esempio ne “La confessione”, anche se “Vigata” è agli antipodi (siciliani) dalla Calabria, per dire testardo, cocciuto.
 
Il “Tirreno cosentino”, bei paesi e belle spiagge, da Maratea a Diamante, il primo a dotarsi di infrastruttire moderne di accoglienza, fin dagli anni 1960, auspice il Gran Referente dell’area, Giacomo Mancini, alberghi, ristoranti, stabilimenti balneari, secondo case a gogò, festival estivi e invernali, non decolla. Tavole rotonde. Piani. Recriminazioni. Poi si scopre che un anno – cinque di fatto, un’estate dopo l’altra – è ostaggio di introvabili bidoni velenosi inabissati dalla ‘ndrangheta. Un anno soffre di cattivi odori. Un anno le acque in mare di colpo si sporcano. Un tesoro sterile, se non buttato via. Mentre si sa, ma non si dice, che un Comune trova più semplice scaricare i liquami a mare. E che la rete dei depuratori è “disomogenea” - un depuratore non può supplire all’altro, quando ha problemi tecnici o è in sovraccarico. Programmare è impossibile in Calabria, mettere d’accordo, anche solo due interlocutori?

leuzzi@antiit.eu

 


Nessun commento: