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sabato 3 ottobre 2020

Il mistero Italia svelato da Ernst Bloch

Accanto alle impressioni già note e ampiamente discusse di Walter Benjamin su Napoli, col concetto di “porosità”, e su San Gimignano, per la “verticalità”, prove generali del suo opus magnum su Parigi, la proposta di alcuni testi forse più pregnanti, sul Sud Italia, Napoli, le isole, e la stessa “porosità”, di Ernst Bloch, che anche lui soggiornò a lungo nella baia di Napoli. Testi non tradotti, e trascurati anche nell’opera omnia, che la studiosa del filosofo mette in luce.
Capri, Ischia, Positano, Napoli attirarono alla metà degli anni 1920, sulle orme dei russi anteguerra, con Gor’kij in testa, un qualificatissima presenza di scrittori e filosofi tedeschi: Ernst e Linda Bloch, sulla strada per il Nord Africa, Benjamin e Asja Lacis, Kracauer, Adorno, Alfred Sohn-Rethel, Kantorowicz. Non in gruppo ma neanche isolati: si conoscevano e si frequentavano. E prolungavano i soggiorni, per mesi, qualcuno per anni: la vita non è cara, e il fascino sorprendente, scriveva Benjamin a un amico, Richard Weissbach. I tedeschi poi erano di casa: il caffè della piazzetta, della famiglia Morgano, aveva preso un nome tedesco, “Zum Kater Hiddigeigei”, al gatto Hiddigeigei, il gatto nero che a Capri pontifica dall’alto di una torre nel poemetto “Der Trompeter von Säckingen” che August von Scheffel aveva scritto nell’isola nel 1853. E intato mantenevano, malgrado Goethe, il mistero, dietro il fascino, che per molta Germania è l’Italia. Furono, quelle, vacanze stanziali, che lasciarono tracce un po’ in tutti – con l’eccezione forse di Kantorowicz: “Questa costellazione caprese si sarebbe mostrata straordinariamente produttiva: non soltanto tirò fuori molti saggi, ma una eco sfaccettata se ne ritrova in ulteriori lavori dei protagonisti”. Per Benjamin il soggiorno caprese aprirà un filone, di riflessioni e di scritti – le “Immagini di città”, come Peter Szondi intitolerà nel 1963 la raccolta dei suoi saggi sulle città, nella quale “Napoli” viene per primo.
Porosità è termine geologico, della materia di cui è fatta Napoli, il tufo. E - nell’accezione di Asja Lacis che l’avrebbe coniato, attrice di teatro, regista, scenografa – architetturale: la contiguità o commistione di elementi architettonici diversi, portale, cortile, scalone, ballatoio, balcone. Nonché sociale: commistione di attività e di ceti sociali, ricchi e poveri, colti e ignoranti, lusso e lerciume. Per E . Bloch, che ci ripenserà qualche anno dopo, in “Aprile Italiano”, è solo questo: “Essa significa nient’altro che una mescolanza del basso con l’alto e dell’alto col basso”.
La porosità è “di due specie”, spiega Ujma, nelle descrizioni delle città italiane che fanno Benjamin e E. Bloch. Per Benjamin è l’informe e l’informalità: l’adattabilità. Per E. Bloch, che il concetto di “porosità” estende a tutta l’Italia, è la non classicità, di Napoli e del Sud. È anzitutto l’esterno come interno, “Italien und di Porosität”, 1926: “Dalla Piazzetta di Capri a Piazza San Marco a Venezia, l’Italia è cosparsa di tali saloni da festa, anzi da ballo, all’aperto. In queste piazze si mescola – è anzi in esse che si trova finalmente a casa – il caldo riparo degli interni. Ma se si pensa che la porosità abbia a che fare solo col semplice rovescio di dentro e fuori, la strada di Napoli invece insegna come una città italiana possa uscire allo scoperto anche senza piazza; come sia la stessa caoticità della stanza a costruire una piazza nell’immagine della città”. La piazza per dire, evidentemente, la socievolezza, l’informalità - la “disinvoltura” di E. Jünger).
Questa caratteristica E .Bloch estende all’Italia tutta. Contro l’opinione corrente – allora come oggi, con i tanti discorsi ancora in corso sulla Magna Grecia – Bloch lega il Sud, e in qualche misura anche il Nord Italia, al bacino mediterraneo, al Nord Africa: “Il modo giusto per conoscere l’Italia è dal Sud”.
“Si «scende» in Italia, dalle Alpi, questo non va bene”, esordisce il filosofo in “Italien und die Porosität”, 1926, dopo la lettura di Benjamin: “Si visita questo Paese in modo sbagliato. Portandosi dietro desideri e immagini fuorvianti, o perlomeno unilaterali. Sicché molto della vita italiana finisce per sfuggire”. Perché  l’Italia non è “classica”, come in Europa si pensa, e al Sud questo è evidente: “Nel Sud non esiste soltanto la misura classica, che esso sembra peraltro non stimare troppo”. Gli uomini e le stesse cose. “Non solo l’animale uomo che lì fiorisce così variopinto si oppone alla nobile semplicità e alla composta grandezza”,  che si presumono della classicità, ma anche le cose: “Non tutte le cose vi riposano ferme nella luce, nella loro bella forma antica e ben definite in ogni aperte”. Ovunque eccessi, eccezioni, sregolatezze.
Ma di più E. Bloch era interessato al rapporto Germania-Italia, alla reciproca percezione. Nel saggio “Die italienische Deutschfreundlichkeit”, 1925, e qualche anno dopo, 1932, in “Aprile italiano”, scritto dopo un soggiorno a Salò sul lago di Garda. Nel quadro di una riflessione lunga alcuni anni, 1928-1932, sulla esperienza e la percezione  dello straniero – “Mancherlei Fremde”, “Traum von einer Sache” e “Erfahrung der Grenze”. L’idea è che le percezioni sono diverse, tra Italia e Germania, quasi ostili, ma le esperienze hanno molto in comune. Per la storia condivisa e, sotto le differenze religiose e di mentalità, un comune senso del bello.
Uno scritto degli anni dell’esilio in Svizzera, dopo l’arrivo di Hitler al potere, “Venedigs italienische Nacht”, “forse il saggio più elegante e sereno”, mette insieme “tutti gli elementi delle sue precedenti immagini di città: Oriente, Gotico, Barocco e Teatrale si ritrovano qui nell’architettura, il carnevale, la musica”, nelle “fantasie che il viaggiatore si porta con sé”.
Christina Ujma, Zweierlei Porosität. Walter Benjamin und Ernst Bloch beschreiben italienische Städte, “Rivista di letteratura e cultura tedesca – Zeitschrift für deutsche Literatur un Kulturwissenschaft”. Roma-Pisa, 2008, S. 67-64
 


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