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mercoledì 28 aprile 2021

Secondi pensieri - 447

zeulig


Assurdo
– Si ha bisogno dell’assurdo, l’uomo ha bisogno dell’assurdo, la ragione non saprebbe come definirsi, ritrovarsi, se non costeggiando l’assurdo
 
Fede
– Viene con la preghiera, dicono i papi da qualche tempo. Cioè bisogna credere per avere (rafforzare, consolidare) la fede? Un processo di autoconvincimento.
 
È il principio dell’arte, l’immedesimazione. Lo stato passionale. Delle fede religiosa come di quella amorosa: il trasporto fuori di sé.
Le avanguardie tentano – hanno tentato, per tutto il Novecento – di rompere questo legame, lo “stato di grazia”, con dissonanze, macchie, eventi invece di “prodotti”, con invenzioni, macchinari, materiali, deiezioni, ma a nessun effetto, se non di (temporanea) sorpresa – épater le bourgeois. Sono gesti-atti-manufatti politici, di una politica che si pretende estetica, ma non può esserlo – o allora nei limiti (contesti, fini, effetti) della politica, arte manuale (artigianato) per eccellenza.
C’è arte senza la fede, senza una fede? No. La Dea Ragione perderà Calvino (Italo) nel mentre che lo sterilizza, in arzigogoli alambiccati. Produce giochi – esercizi di stile, sciarade, lipogrammi, acrostici, decostruzioni, postmoderno – e narcisismi. Si dice creazione, in arte, una sorta di abbandono mistico.
 
Femminismo
– S’intende una rivendicazione di uguaglianza, nei diritti e nella prassi. Ma una riscoperta, prima che una rivendicazione: di un’eguaglianza di fatto sotto il diritto patriarcale, maschilista. “Gli studi degli ultimi trent’anni del Novecento anno mostrato ampiamente come i ruoli femminili, nel Medioevo, fossero più vari e complessi di quelli che i maschi ammettevano”, anche “nel loro donneare” – Elena Ferrane, “L’amica geniale e gentile di Dante”, (“Robinson”, 24 aprile). Tra i poeti cioè femministi dell’amor cortese. Ferrante cita Matilde di Magdeburgo, Ildegarda di Bingen, Giuliana di Norwich, Margherita Porete, Angela da Foolino, magistra theologorum. Ma la lista è lunga – molto c’è negli studi sul latino medievale di Rémy de Gourmont, “Il latino mistico”: Rosvita di Gandersheim,. Santa Lutgarda, Eleonora d’Aquitania,  Eloisa, Virdimura, la dottoressa (in medicina) ebrea di Catania, Trotula de Ruggiero, Herrad von Landsberg, le tante sante.  
 
Freud
– “Imbecille di genio!” lo scopre Gide nel “Diario” a giugno del 1924: ha liberato il sesso, il discorso sul sesso, “ma quante cose assurde presso questo imbecille di genio!”. Che l’essenziale, nota ancora Gide, lascia inesplorato: il desiderio, o la mancanza di desiderio. Questo soprattutto: “Che avviene quando, per ragioni sociali, morali, etc., la funzione sessuale si trova portata, per esercitarsi, ad abbandonare l’oggetto del suo desiderio, quando la soddisfazione della carne non comporta alcun assenso, nessuna partecipazione dell’essere, e che questo si divide e una parte di sé resta in ritardo?” Nei rapporti mercantili cui Gide era aduso ma anche, evidentemente, in altri contesti, anche coniugali o di “innamoramento”.
 
Materia oscura – Se il 90 per cento dell’universo (massa incalcolabile) è inerte, donde la vita? Ma qualcosa c’è: è questo Dio?
La materia senza moto, senz’anima, c’è ma non esiste. Lo spirito ha bisogno anche della materia inerte, ma la materia non esiste senza lo spirito – è l’argilla che il vasaio fa vivere.
La vita è un mistero. Che si forma (conforma) nell’anonimato. In attesa della scintilla vitale, di una  scintilla. Non di un passaggio (evoluzione): ha bisogno di un salto, un’altra realtà.
 
Ortodossia – Esclude, non include. Respinge, più che avvicinare. Ciò è evidente nella forma politica. Ma anche, al fondo, in quella religiosa, benché discutibile – l’eresia minaccia il credo o lo allarga?
È una difesa? È verità – quanto è vera, se è intangibile?
Si può dire l’opposto dell’umanesimo, della condizione umana: che è, deve essere, aperta. Alla riflessione ma anche alle credenze, seppure con un minimo di potenziale critico. Una disponibilità scuramente ferace in politica (indispensabile: la politica è mobile, la fissità la sua morte), e probabilmente anche nella religione.
 
Piacere – Si vuole speciale - unico. Proust Gide trova “gran maestro in dissimulazione”, così come Wilde, per non voler ammettere la condizione o passione omofila. Che tuttavia, Proust e Wilde, sono icone della gaytudine. Il proibito è parte de piacere, di un piacere che ci guadagna a volersi  eccezionale.
 
Vangeli – Ma sono paolini, più che cristologici. Conformati sulla Passione e la Morte. Cioè sulla rinuncia del temporale: la salvezza non è di questo mondo.
I Vangeli sono una cavalcata in un mondo possibile di bontà e letizia. Anche trionfale, fino all’ingresso in Gerusalemme. Poi convergono tutti, compreso Marco, che è il più antico, nel Cristo paolino, del sacrificio per la salvezza, della salvezza attraverso il sacrificio. Il simbolo diventa la croce, non più la palma. La gloria passa per l’ignominia la mortificazione. La carne viene divisa dall’anima. Una ortodossia si crea, tanto fine (afinata) quanto ingombrante.
Una fine che dovrebbe sorprednere il Gesù di prima, dall’annuncio a Maria alle parabole, ai miracoli, con la pace, la giustizia, l’amore. Nulla lasciava presagire la fine in croce, Gesù non si è posto fin ad allora dentro le polemiche tribali dell’ebraismo. È il Gesù di san Paolo che entra in queste diatribe, e ne esce vittima. Un agnello sacrificale che diventa capopopolo, capo di una chiesa, di un’ortodossia.  
 
Virtù – Era la “repubblica della virtù” quella del Terrore, di Robespierre, 1793-94. Un assolutismo e una schiavitù. Alle leggi, ma di un ristretto numero, e quasi capricciose. Richiamandosi alla democrazia diretta, di fatto governata assolutamente, al volere del Capo - vita associata, commercio, consumo.
La virtù di Machiavelli è il valore, che sconfina nel coraggio, quello politico come quello fisico. In questo senso, classico, colloquiale, è anche la virtù di Nietzsche, la forza o “volontà di potenza” come opposta alla virtù cristiana della rinuncia.
Le quattro “virtù cardinali” del catechismo, che sancisce sant’Ambrogio, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, erano di Platone.  Assunte come in Platone, senza in questo caso le sottigliezze classificatorie di Aristotele.
Un tema che non ha stimolato. Contro il “mito virtuista”, in materia di letteratura e di spettacolo, aveva facile gioco Pareto a prodursi nel 1911 nell’arringa che i mali chiamava analfabetismo, miseria, corruzione, camorra, e Austria.


zeulig@antiit.eu

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