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martedì 21 novembre 2023

Governi tecnici, democrazia, e gruppi di pressione

Sabino Cassese ha un riferimento apparentemente bizzarro a Mario Draghi nei ricordi confidati a Alessandra Sardoni (“Le strutture del potere”, libro-intervista), riferendosi al 1993, quando era ministro della Funzione Pubblica nel governo “tecnico” di Ciampi – Draghi era direttore generale del Tesoro e operava le privatizzazioni: “Voleva e ottenne autonomia di gestione del personale della sua Direzione e l’ottenne. Non col governo Ciampi, però. Io ero contrario, per evitare la balcanizzazione del ministero: ci riuscì successivamente con il governo Berlusconi. Prova della sua perseveranza”.
Il riferimento è bizzarro in due modi. Uno è che Cassese non lo dice ma fa capire che Draghi era e voleva essere il dominus  incontestato delle privatizzazioni.
Cassese con Ciampi è l’esempio che i governi “tecnici” possono essere più politici di quelli eletti – più rispettosi del bene comune. E tuttavia, anche in casi virtuosi come quello Ciampi, il governo è tecnico solo in Italia, fra tutti i paesi del G 7. E anche fuori del G 7, nei paesi di cui si riesce ad avere contezza. È solo in Italia, si può dire, che il governo esula dal voto. Da qui l’esigenza, ricorrente in Italia ormai da trent’anni, di ancorarlo al voto. Di Craxi, D’Alema e Renzi a sinistra (Renzi che fu al centro di un decennio “tecnico”), e ora di Meloni a destra.
La democrazia è parlamentare. Lo è dove ci sono le costituzioni (Stati Uniti, Germania, Spagna, in qualche misura anche la Francia) e dove non ci sono (Gran Bretagna). Anche in Italia la costituzione è parlamentare, ma solo formalmente: di parlamentari eterodiretti (al tempo delle correnti personali e del centralismo democratico), o che, da qualche anno, abdicano alle proprie funzioni  “per la pagnotta” – i cinque anni di indennità parlamentare, e poi il vitalizio. Espressione di partiti a loro volta eterodiretti. Da media di proprietà finanziaria o industriale. Cioè da gruppi di pressione, la vecchia categoria della sociologia politica individuata nel 1960 a Ginevra da Jean Meynaud.
Un condizionamento ridicolo, tanto è assurdo, è quello degli esami continui del governo italiano a opera della burocrazia di Bruxelles. Ma imbattibile: i media lo ripropongono minuzioso, quotidiano, orario. Unico caso in tutta la Unione Europea. È il condizionamento del “vincolo esterno”: l’Italia non si sa governare, l’Europa la costringerà a farlo. Ma l’ideologia del “vincolo esterno” dobbiamo ai “tecnici”, Draghi e anche Ciampi.   

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