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giovedì 11 aprile 2024

La sessuazione del mondo

“I corpi insorgono sul piano materiale e su quello simbolico, sul piano locale e su quello globale. Di fronte allo strapotere del mercato, e alla crisi delle istituzioni classiche, ci sono corpi che prendono spazio e non temono di giocare su fronti differenti e strategicamente efficaci” – “anche le rivendicazioni sul terreno dei diritti”. Per una conclusione forse ottimista: “”Un enorme processo è in atto, dilagante. Sta dando forma a un nuovo ordine simbolico della politica, mai univoco, antigerarchico”. Ma che sicuramente “ha immesso nel circolo delle significazioni la presenza attiva dei corpi”.
La Nobel Annie Ernaux, nell’ultimo racconto prima del premio, “Memoria di ragazza”, in cui da ottantenne ricostruisce la sua estate da diciottenne, ingenua o stupida che si lascia manipolare da uno “bello come Marlon Brando” che la usa mentre la disprezza, a un certo punto, dopo aver ricordato il primo corso di filosofia, annota con qualche ironia: “È folle quanto la filosofia può renderci ragionevoli. A forza di ripetere, di scrivere che l’Altro non deve servirci da mezzo ma da fine, che siamo razionali e che, pertanto, l’incoscienza e il fatalismo sono degradanti, mi ha tolto il piacere di flirtare”. Dopo aver raccontato, dopo l’infatuazione, una pausa nella vita, sempre da diciottenne, mesi di bulimia e menorragia. “due limiti legati al cibo e al sangue, i limiti del corpo”.
Per i più, anche per i più pensosi, il corpo è quello dei sensi, della trasgressione, del millenario peccato per il confessionale, e peggio, ancora fino a qualche anno fa, dell’innominabile sesso, riproduttivo e non, roba da sottacere. Del peccato. La scoperta del corpo, della materialità era già avvenuta con Spinoza, ben chiara e anche ben detta – anche se, pure lui, un po’ al confessionale, in appendice all’“Etica”, alla seconda appendice. Poi, per altri percorsi, rilanciata o riscoperta da Nietzsche, uno dei tanti razzi della sua pirotecnia.
Il lettore qui ci arriva a metà percorso. Prima Stimilli lo induce a liberarsi dell’insidia persuasiva della teleologia, del percorso umano ordinato a un fine, libero e insieme razionale, ragionevole. Anche se, epitomizzato nella coscienza di sé dell’“uomo bianco”, del caucasico, dell’europeo, un po’ supponente, e conquistatore-dominatore – “la tua libertà è la mia”. Il razionalismo ultimo, della “Scuola di Francoforte”, della “dialettica della ragione”, collegando ad Aristotele, e poi a Kant – con la coda supernumeraria di Hegel, del tutto va bene, tutto essendo stato ordinato, “sistemato”. Una larga sinossi, preceduta da due avvertenze.
Una è programmatica: individuare,”portare alla luce”, il ruolo che svolgono i “mezzi” nel discorso filosofico, non necessariamente finalistico. Il come è anche presto detto: “L’ipotesi è che tale concetto rinvii al problema e al campo di esperienze che si origina dalla relazione con il corpo, dalla sessuazione del mondo”. Che sembra ovvio, infine, ma non è semplice: è “processo complesso e mai definitivo”, per un’ardua razionalizzazione, concettualizzazione, “come ambito di un predominio perpetrato e sostanzialmente rimosso”. “Dominio” suonerebe più appropriato, ma il senso è chiaro. Rimosso si sa perché: “È il luogo di insorgenza di differenze anatomiche e sociali, di razza e di classe, di sesso e di genere”, per cui il “discorso” resta “fondamentalmente teso a oscurare i corpi”.Troppe concrezioni nel tempo, in assenza di un’anamnesi, come avviene di ogni tabù.
La seconda avvertenza è un’evidenza. La scoperta nel 1856 del primo esemplare di Uomo di Neanderthal, la rivelazione di un essere ancora “sottosviluppato” - allora si poteva ancora dire - che però usava utensili umani. “Troppo umani” per uno la cui scatola cerebrale era “una sfida per l’umanità”, nella sintesi recente di Leroi-Gourhan, “Il gesto e la parola”. Cioè che non avrebbe dovuto essere in grado di concepire, di realizzare quegli strumenti, nonché di capire come utilizzarli. Questo tre anni prima del Darwin canonico, de “L’origine della specie”, ma il canone era già “darwiniano”, positivista, evoluzionista. Oppure che aveva realizzato dei “mezzi” per cui il suo cervello non era adatto - termine darwiniano.
Politica dei corpi
“Per un nuova politica dei corpi”, come da sottotitolo, si direbbe “vasto programma”. E invece è di più, è per molti aspetti la fondazione di un nuovo percorso, perché, ignobile dictu, il corpo, la materialità, è trascurata dalla filosofia. Anche da quella “naturale” - quella dei filosofi “meridionali”, direbbe Biagio De Giovanni, Campanella, Bruno, Telesio, Vico. Solo recentemente avviata, di sbieco, tangenzialmente a ricerche storiche, da Foucault. E dai vari indirizzi, di ricerca e di rivendicazione, di orientamento femminista, sul lavoro della donna, specie quello domestico. Il concepimento e il parto compresi, che Eschilo, nota Stimilli, nella “Medea” assimila alla guerra.  
Semplificando, la rimozione è come dice Anna Bravo, la storica: “Corpo = vergogna”. Col sottinteso “donna = sprovvedutezza” - al meglio, o altrimenti esibizione-stranezza-svagatezza. La rimozione è cioè del femminile in specie, del corpo che è invece il motore dell’umanità.
Un’appendice s’imporrebbe evidente, che Stimilli ci risparmia: la rimozione della fisicità, del corpo, va – è andata - in parallelo con la filosofia genere maschile, anche se maneggiata da donne. 
Stimilli dapprima sottopone a dissezione l’idea di scopo, di finalizzazione o finalismo - la teleologia. A favore della pluralità delle possibilità. Che sono, si direbbe, la libertà, ma in quanto occasioni (inciampi, stimoli) per la ragione, per l’esercizio del giudizio, e quindi della scelta, tra una gamma molto più vasta di possibilità – della libertà. Per una comprensione anche più allargata della vita, e quindi della verità della storia.
Un progetto, un trattato in realtà, che origina dal progetto di “Politica” di W. Benjamin, 1921, poi non sviluppato, “Sulla critica della violenza”: liberare la politica dal nesso senso-scopo (ma: “liberare” la politica?). Benjamin, analizzando la violenza, scopriva preliminarmente che “il diritto naturale si sforza di «giustificare» i mezzi della giustizia dai fini; il diritto positivo si sforza di «garantire» la giustizia dei fini dalla legittimità dei mezzi”. In questo modo circoscrivendo la sua indagine: esclude “il campo dei fini, e di conseguenza anche la questione di un criterio di giustizia”, per concentrarsi sul “problema della legittimità di certi mezzi che costituiscono al violenza”.
La cura e l’uso di sé
Una riflessione militante, anche nella scrittura. Una ricerca a un fine anche pratico, per l’editore, nella “nuova sessuazione del mondo” – ammesso che sia nuova, e che sia in atto (certo, in Cina, in India non si espongono più le neonate, però….). E per l’autrice, per uscire dal vacuum politico – o dallo svuotamento della politica tradizionale, montesquieuviana – le “visioni” ci sono, manca il “senso”, quello illuministico, della razionalità\organizzazione del cosmo. Per ridare “senso” alla politica – “più che un recupero di fini perduti, decisiva è una indagine sui mezzi”.
Buona parte del lavoro, spiegherà Stimilli in fine, è stato fatto da Heidegger (“cura”) e da Foucault (“uso di sé”). Ma molto resta da fare: “Ampliare lo spettro dei bisogni ai desideri, estendere le forme del lavoro salariato a quelle (sottopagate o non pagate) di cura è stata la forza dell’ordine spontaneo mercato”. Ma con soluzioni insoddisfacenti – come Martha Nussbaum poteva rilevare in “Giustizia sociale e dignità umana”, a proposito della cura domestica, dell’accudimento o “tempo obbligato”, che più occupa gli esseri umani, le donne in particolare, più del lavoro per un salario: la cura dei non autosufficienti, i bambini, gli anziani, i portatori di handicap, gli ammalati.
Elettra Stimilli, Filosofia dei mezzi
, Neri Pozza, pp. 223 € 18

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