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giovedì 26 dicembre 2024

Letture - 566

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Dante
– “Sono un letterato e credo che la ‘Commedia’ sia l’apice della letteratura e di tutte le letterature” - J. L. Borges nella prima delle sette conferenze raccolte in “Sette notti”: “Nessun altro libro mi ha regalato emozioni estetiche altrettanto intense”.
 
La “Commedia” s’impone leggibile da qualche tempo in traduzione, come un romanzo di avventure. Nella versione inglese di Dorothy Sayers, la scrittrice di gialli. E in quelle francesi di Jacqueline Risset e René de Ceccatty. Jacqueline Risset, francesista eminente alla Sapienza e poetessa sperimentale nella lingua madre, prese tardi ad occuparsi di Dante, che divenne poi la sua passione (la sua bibliografia dantesca è vasta) - la estese anche a Fellini, che provò con lei a immaginare una riduzione cinematografica della “Commedia”. Resta soprattutto importante la sua versione in francese della “Commedia”, basata sul ritmo, page-turner, di forte leggibilità – per una lettura come De Sanctis la consigliava, senza le note. Come un racconto di avventure “mirabile”.
Una versione meglio spiegata da un altro italianista René de Ceccatty – nella presentazione della sua propria versione della “Commedia”, popolaresca, tipo “I Reali di Francia”, il “Guerin Meschino”, in settenari. Anch’essa si era posta “la necessità della leggibilità”, spiega Ceccatty, e c’è riuscita, senza tradire il poema, per la “sua sensibilità poetica”: “Poeta lei stessa nelle due lingue, italiano e francese, sa perfettamente ciò che vuole dalla poesia, fatta di concentrazione e folgorazioni, che ricerca e riproduce in francese”. Per cui “la versione di Jacqueline Risset è la sola che dà un’idea della vita, dell’invenzione, dei cambiamenti di ritmo, degli effetti di realismo, della sensualità, degli scherzi o dei momenti di profonda meditazione, di questo testo sempre inatteso”.
Dante si vuole ora cantabile, ma non è un tradimento. Vale sempre il suggerimento di Dorothy Sayers, dopo De Sanctis, che traducendo il poema in inglese nel 1949 consigliava di leggerlo di seguito, come un racconto di avventure.  
 
Vera Dridso – “La persona con cui Primo Levi amava molto intrattenersi quando passava in casa editrice era la nostra segretaria Vera Dridso, un’ebrea russa colta e poliglotta, che sembrava incarnare tutta la storia del Novecento”, Luca Baranelli, già manager Einaudi (“La Lettura”).
 
T.S. Eliot – “A quella cena”, racconta Graham Greene nell’autobiografico “Ways of Escape” (non tradotto), “con Eliot avevamo parlato di Arsène Lupin”, il ladro gentiluomo inventato a inizio Novecento da Maurice Leblanc: “Un soggetto che sempre aiutava Eliot a sbottonarsi - forse per un momento lo faceva sentire al sicuro dalle gentildonne che si aggiravano parlando di Michelangelo”.
 
Impegno - L’engagement aggiornato, oggi politicamente corretto, si sintetizza così, nel malumore di Covacich all’uscita dalla Biennale di Venezia appena conclusasi: “Ambientalismo, post-colonialismo, patriarcato, neofemminismo, migrazioni umane, sessualità non binaria e diritti Lgbtq+” (“La Lettura”). Un “impegno politico” che “sembra bastare a garantire la qualità delle opere”. 
 
Iraq – “In Iraq, prima che gli americani lo attaccassero, c’erano un milione e mezzo di cristiani, e ora sono centocinquantamila”, Robert Harris in “Conclave” fa dire a un anonimo prelato filippino, o forse arabo, nominato in pectore (in segreto) cardinale del papa defunto: “La mia diocesi è quasi vuota. Ecco di cosa è capace la forza della spada!  Ho visto i nostri luoghi sacri bombardati e i nostri fratelli e sorelle morti, distesi in file”.
 
Jeju - In Corea del Sud, scrive Lia Iovenitti, de L’Aquila, importatrice ed esportatrice a Seul di merci da e per l’Italia, e traduttrice della Nobel Han Kang (nonché scrittrice in proprio, a giudicare da questo “racconto” scritto per “Il Venerdì di Repubblica” del 13 dicembre), Jeju non è solo la bella isola orgogliosamente definita «la Sicilia della Corea». È anche un luogo che porta il peso di un passato doloroso: tra il 1948 e il 1949 trentamila civili, uomini, donne, anziani, bambini, furono massacrati per mano delle stesse autorità coreane sotto la regia dell’esercito degli Stati Uniti. Lo scopo era fermare l’avanzata del comunismo. La parola d’ordine: «Sterminarli tutti»”.
E non è tutto: “Per decenni, i governi militari han occultato quei  massacri, tanto che gi aerei atterravano a Jeju su piste che celavano fosse comuni “.
 
Massimo Mila – “A casa nostra arrivavano personaggi anche pesanti, come il musicologo Massimo Mila: era sempre negativo, vedeva solo il bicchiere mezzo vuoto: diceva sempre chissà se ce la farai con la musica” - Ludovico Einaudi, della sua vita da ragazzo in famiglia, con i genitori, Giulio, l’editore, e la madre Renata Aldrovandi.
 
Jacqueline Risset - La ricorda solo Patrizia Licata, nel suo ultimo giallo romano (romano di quartiere, l’Ostiense”), “Le due facce”, la poetessa francese, francesista alla Sapienza, allieva e successore di Giovanni Macchia, francesista insigne, moderna Du Bellay, in esilio a Roma volontario - studiosa anche di italianistica, Dante sopra tutti, e il Joyce “italiano”: “Era la mia insegnante di francese all’università”, così Licata la fa ricordare da un personaggio a specchio, una poetessa che s’incontra vagante la mattina per il cimitero degli Inglesi, “ed è stata una mentore… Era una dona bellissima. Gentile, sensibile, piena di talento…. Davvero una forza della natura. Penso spesso ai pomeriggi in cui andavo a trovarla a casa, nel suo salotto pieno di libri posati dappertutto, sugli scaffali, sui tavolini, sulle poltrone, le sedie… Non le piacevano gli editori. Troppo avidi, diceva. Parlavamo di poeti e le facevo leggere le mie poesie. Le piacevano perché avevano il ‘ritmo’. La poesia è ritmo, diceva”.  
 
Stati Uniti -  “Tra gli anni Sessanta e la sua morte (1986), Borges visitò gli Stati Uniti in diverse occasioni”, invitato per lezioni, conferenze, dibattiti - Pablo Maurette, “La Lettura: “Nondimeno in una conversazione con un giornalista argentino, poco dopo essere tornato dal suo primo viaggio in America, lo scrittore si lamentò del fatto che gli americani ignorassero le due virtù più indicative della civiltà, il dialogo e la cucina”.
 
Traduzioni – Ada Prospero, meglio nota come Ada Gobetti, sposa di Gobetti (poi Gobetti Marchesini), attiva nel movimento antifascista di Giustizia e Libertà, poi partigiana combattente, traduttrice dell’inglese, e Cesare Pavese si contesero per un periodo la traduzione di Sherwood Anderson, lo scrittore che Fernanda Pivano, “allieva di Pavese e amica di Hemingway”, decreterà l’iniziatore e ispiratore della prosa americana, “parlata” (sintattica) e breve, degli anni ruggenti 1920-1930. Pavese rivendicherà – con Vittorini – un ruolo primario, e solitario, di divulgazione della letteratura americana negli anni del fascismo. Per es. in un’“intervista” datata 5 febbraio 1946 e pubblicata postuma, col titolo “L’influsso degli eventi”, nella raccolta di “Saggi letterari”,   1951: “Il decennio dal ’30 al ’40, che passerà nella storia della nostra cultura come quello delle traduzioni, non l’abbiamo fatto per ozio né Vittorini né Cecchi né altri. Esso è stato un momento fatale, e proprio nel suo apparente esotismo e ribellismo è pulsata l’unica vena vitale della nostra recente cultura poetica. L’Italia era estraniata, imbarbarita, calcificata – bisognava scuoterla, decongestionarla e riesporla a tutti i venti primaverili dell’Europa e del mondo”.
In realtà, spiega Anna De Biasio in “Sherwood Anderson tra Ada Prospero e Cesare Pavese: traduzioni, trasfusioni, traiettorie” (in “Letteratura americana tradotta in Italia”), Pavese non era il primo, Prospero-Gobetti l’aveva preceduto, in particolare per Sherwood Anderson.
 
Più in generale, osserva l’americanista De Biasio: “Le analisi dei dati e delle politiche editoriali delle case editrici, così come dei rapporti con il regime, hanno mostrato che, in realtà, negli anni Trenta l’Italia è il primo paese traduttore d’Europa, e che traduce soprattutto dall’inglese”. La censura interveniva, ma nella fattispecie poco o nulla.

letterautore@antiit.eu

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