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sabato 28 dicembre 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (580)

Giuseppe Leuzzi

Scrivendo alla cognata Tania l’11 maro 1927, per raccontare la traduzione carceraria da Palermo a Ustica, Gramsci si può dire sorpreso da una sorta di leghismo alla rovescia: “Le accuse che i meridionali in genere muovono contro i settentrionali sono terribili: li accusano persino di cannibalismo. Non avrei mai credito che esistessero tali sentimenti popolari”.
 
La logica del Sud – poco seria
L’ambasciata russa fa pubblicare a Reggio Calabria, a cura di Enrica Perucchietti e Umberto Visani, “Le vere cause del Conflitto Russo Ucraino”. Un volume che si presenta per denunciare “questo 
vile, sanguinoso decennio di storia ucraina”. Con un testo di Putin, 2021, prima della guerra, “sull’unità storica di Russia e Ucraina”, e altri “di filosofi e pensatori russi” sullo stesso tema – Putin vi assicura che “la Russia non è mai stata e non sarà mai «anti-Ucraina»”.  E presenta il libro sempre a Reggio Calabria, con un saluto dell’ambasciatore Paramonov, per denunciare “il colpo di Stato verificatosi a Kiev” nel 2014, “a seguito del quale si sono impadroniti del potere personaggi apertamente radicali e nazionalisti”, per fare, dichiaratamente, “guerra alla Russia e a tutto ciò che è russo: alla lingua, alle tradizioni, alla storia, alla regione, alla cultura e ai valori”.

A Reggio il volume è stato presentato dal Centro Studi Federico Caffè. A un pubblico di un centinaio di persone - molte a Reggio, alla presentazione di un libro. Compresi, dice il comunicato, “molti ucraini”. Un Centro creato per “tenere viva la riflessione dell’illustre economista”, dello sviluppo (del benessere) nella libertà. Che ha debuttato al Castello di Scilla due anni fa, presentato da due economisti e due musicisti, il musicologo Antonello Cresti e il tenore Francesco Anile, che ne è il fondatore e il presidente. All’insegna della “promozione della libertà”: “Federico Caffè – prosegue la presentazione - è stato un economista di ispirazione keynesiana, che già negli anni ’80 metteva in guardia dai pericoli della finanza speculativa”. Un’apoteosi – anche se Reggio non si è (ancora) scoperta un’anima ortodossa, nel senso della religione? C’è sempre un fondo giocoso - scherzoso, ironico, satirico – nello storytelling in Calabria, perfino nella compassata Reggio Calabria, e al Sud. Il Sud è adattabile – “poroso” direbbe Walter Benjamin: aperto a tutte le brezze, ecumenico? Non dell’ “o….o” della logica, che irritava il pur teutonico Günter Grass, ma dell’ “e….e”. Non vuol essere apodittico – non vuole essere serio. Senza ragione?

 
La scoperta del Mediterraneo
“Il Mediterraneo è una grande patria, una dimora antica. A ogni mia nuova visita me ne accorgo con evidenza sempre maggiore. Che esista anche nel cosmo un Mediterraneo?”, si chiede Ernst Jünger scoprendo nel 1954 la Sardegna, sotto la data del 22 maggio (“Terra sarda”, p. 90).
Un luogo comune – già, tra i tanti, di David Herbert Lawrence un secolo fa, più o meno, il celebratissimo ora dimenticato autore di “Women in Love” e “L’amante di Lady Chatterley” - ma con un altro spirito. Una sorta di scoperta anche perché la storia è fatta secondo la geografia politica, quindi delle nazioni e dei continenti, e non c’è un continente Mediterraneo, ci sono l’Europa, l’Africa, l’Asia, e ora l’America.
Apparentata a questa “scoperta” geopolitica c’è nella stessa circostanza, nella stessa riflessione (“Terra sarda”, p. 107) la scoperta di una diversa “parlata”, o linguaggio, o logica colloquiale, mentale: “Una volta raggiunte le strade sicure (lo scrittore fa trekking lungo alcuni costoni col fralello della sua ostessa, della “signora Bonaria”, n.d.r.), prendemmo a conversare piacevolmente, e di nuovo mi colpì la stabile direzione, il consueto binario sul quale si muoveva la conversazione con un interlocutore  neolatino. Assai più di rado di quanto non avvenga in un colloquio con gli altri deu grandi tipi umani di questa nostra parte del mondo, i Germani e gli Slavi, essa tocca un argomento non collaudato. Ogni frase è moneta contante, ha un suo peso determinato e misurato. Negli argomenti più elevati ciò è reso più evidente dalla inamovibilità dei concetti; essa costituisce il fondamento del lingaggio giuridico di livello superiore e, in genere, di ogni definizione dei fatti”.
Non nuova anch’essa, ma ben detta, la conclusione: “Perciò è da supporre che in questi paesi, malgrado tutte le rivoluzioni possibili, lo stile di vita si modifichi in misura minima”. Sono cambiati i proprietari, “ma la proprietà resta, poiché è radicata nella struttura del pensiero. Perciò la vita in queste plaghe suscita un’impressione di atemporalità”. Con una distinta fertilità di “grandi spiriti conservatori: qui regnano, nell’orientamento del pensiero, il limite e il senso del limite”.   
E ciò riguarda l'Italia. Ma ormai soprattutto o soltanto il Sud.
 
Cronache della differenza: Sicilia
“La Sicilia non è Italia” è, prima degli uomini di Cavour, e di Vittorio Feltri, di Machiavelli, “Discorso o Dialogo intorno alla nostra lingua”. Per imperialismo toscano, anzi fiorentino. Machiavell se la prende con Dante, che nella questione della lingua (volgare) pagava un tributo al siculoitaliano, e al toscano, mentre la vera lingua sarebbe il fiorentino. Ma è un Machiavelli spurio – postumo, e certo non linguista.

Un porcile con inspiegabili gioielli. È l’immagine che i non Siciliani e molti Siciliani hanno della Sicilia”, può dire il linguista Lo Piparo a conclusione della sua indagine “Sicilia isola continenale”. Imnagine a cui contrappone, in breve, “la Sicilia vissuta e raccontata da Vittorini. Una Sicilia popolata da Gran Lombardi”, da siciliani fattivi e costanti.
 
In “Lettera dalla Sicilia al buonuomo della luna” E. Jünger menziona “una risalita per le gole del Monte Gallo” – ignoto ai più, si trova a Palermo, ed è una riserva naturale, ricca di mammiferi più che di picchi: “una comba (una valle stretta, in linea con una piega geologica anticlinale, n.d.r.) serrata tagliata nella roccia nuda”. Niente di che. Ma con “un linguaggio di pietra” che “s’impadronisce del viaggiatore più impersonalmente di quanto potrebbe fare un paesaggio puro e semplice, o in altri termini, un tale paesaggio dispone di virtù più profonde”. La Sicilia è un tutto, che “segna” anche l’impercettibile.
 
Contro la sicilitudine Tomasi di Lampedusa, siciliano cosmopolita e poliglotta, professa anche in conclusione del “Gattopardo”, quando don Fabrizio così spiega il suo rifiuto a farsi fare senatore dal nuovo Stato (pp. 216-217): “I Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere Perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei, sia per origine sia anche, se Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di aggiornata compitezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla; calpestati da una decina di popoli differenti, essi credono di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi”.
 
Ai soldati inglesi che gli chiedono dei liberatori garibadini, don Fabrizio ha già risposto, in inglese: “They are coming to teach us good manners… But they won’t succeed, because we are gods” – sarcastico con i liberatori, e sarcastico con i siciliani.
 
Mai lasciarsi sfuggire una battuta, soprattutto se cattiva – seppure da circolo dei nobili, a cirolazione limitata cioè, ininfluente. Camilleri ne era maestro, come già lo Sciascia “maestro” – ma da osservatori esterni. Lo stesso Tomasi di Lampedusa, viaggiatore e tutto, non se ne perde una: il bon mot fa la conversazione ed esaurisce il tempo, la storia.
 
Lampedusa, solitamemte ritratto come un nobile decaduto, era uno che aveva visto il mondo, viaggiatore curioso, e aveva sposato una baronessa russa. Una “tedesca del Baltico” (Estonia), di madre italiana a Parigi, la mezzosoprano modenese Alice Barbi, interprete di Brahms e Dvořák. Una donna che sarà la prima psicoanalista nell’isola, e forse in Italia. Il romanzo si può leggere come una satira, anche feroce: “La ragione della diversità”, fa concludere a don Fabrizio, “dev’essere in quel senso di superiorità che barbaglia in ogni occhio siciliano, che noi stessi chiamiamo fierezza, che in realtà è cecità”.
 
Gramsci è per la differenza. Per l’omertà - lettera 11 aprile 1927 alla cognata Tania, su una traduzione carceraria da Palermo a Ustica: “È incredibile come i siciliani, dal più infimo strato
alle cime più alte, siano solidali tra loro e come anche degli scienziati di innegabile valore corrano sui margini del Codice Penale per questo sentimento di solidarietà”.
 
E ancora – da sardo-piemontese?: “Mi sono persuaso che realmente i siciliani fanno parte a sè; c’è più somiglianza tra un calabrese e un piemontese che tra un calabrese e un siciliano”.
 
Alla scoperta della Sardegna nel 1954, Ernst Jünger conclude il diario (“Terra sarda”, p. 151-152) con l’inevitabile confronto con la Sicilia, che già conosce - scontato ma non inutile. In Sardegna la storia è “discreta”, in Sicilia “l’eroico e il tirannico hanno lasciato di sé tracce possenti. La differenza è inconfondibile anche nel carattere della popolazione. Paragonata alla Sicilia, la Sardegna è una retrovia, un teatro di provincia”. Perciò in Sardegna “è difficile trovare un solo grande nome, mentre i personaggi famosi connessi con la Sicilia si affollano”.


leuzzi@antiit.eu

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