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martedì 29 luglio 2008

Class action all'università

Un caso Poste-Rai moltiplicato per due, se non per tre. L’università ha accumulato in dodici anni dalla riforma Berlinguer tanti di quei precari (alcuni a trecento euro, l’anno!) da togliere il sonno ai contabili del Tesoro che prima o poi dovranno stabilizzarli. Mentre i giudici del lavoro affilano i coltelli aprendo le porte per i ricorsi. Il numero non si sa, ma è sicuramente superiore alle cinquantamila unità, e forse anche il doppio. I tredicimila precari delle Poste, e i tre-cinquemila della Rai, contro i quali sarebbe stata presentato proditoriamente in Parlamento l’emendamento anti-precari, sono quisquilie di fronte alla valanga che si annuncia all’università. Le associazioni degli utenti e consumatori sono già in allarme, per una possibile class action, da proporre agli interessati, o anche da proporre senza la loro delega.
Non è sfuggito al Codacons la segnalazione che il blocca-precari colpisce soprattutto l’università (“Il blocca-precari riguarda l’università” di ieri). Anche altre associazioni ne discutono. Dopo la stabilizzazione avviata dai due precedenti governi nell’insegnamento medio e superiore, quello universitario ne attende uno. La presunta autonomia dell’università consente ai governi di fare come se l’università non ci fosse. Ma l’utonomia finanziaria è in realtà inesistente all’università, che è tutta e solo statale.
La class action, recentemente introdotta nell’ordinamento italiano, riguarda propriamente i reati finanziari. È la possibilità per gli azionisti singoli e i sottoscrittori di obbligazioni di promuovere iniziative congiunte a protezione dei loro interessi contro pratiche illegali o anche solo nocive degli amministratori e degli emittenti. Ma la class action rafforza il ruolo delle associazioni d’interessi, quali quelle degli utenti e consumatori. E in un certo senso le abilita a qualsiasi iniziativa legale di massa a protezione dei loro interessi.

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