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sabato 29 agosto 2009

La crisi è finita, per i banchieri

Profitti come prima, a Intesa a Unicredit comprese, e laute provvigioni: è tutta qui la ripresa dell’economia di cui i banchieri, compreso Mario Draghi, il governatore della Banca d’Italia, si compiacciono. A che prezzo, e a che livelli di attività, Passera & co. non sono tenuti a dirlo, e non lo dicono. Ma la situazione non è cambiata da fine giugno, valgono sempre purtroppo le considerazioni allora svolta (http://www.antiit.com/2009/06/segni-di-ripresa-di-che.html).
La crisi è solo passata dal risparmio e le banche alle finanze pubbliche, ed è quindi più grave. Tanto più che gli stessi soggetti "salvati" avranno interesse a speculare sui debiti degli Stati: la finanza resta e resterà il motore del sistema e la speculazione ne è parte costitutiva, l'azzardo è il suo giudizio di Dio. Ci vorranno anni prima di tornare ai livelli ante crisi, ripresa è una parola vuota.
Il debito pubblico è cresciuto in alcuni paesi industriali per rifinanziare le banche. In tutti crescerà per gare gli interessi sul debito, interessi cresciuti con la crisi. Per l'Italia, per esempio, che ogni anno deve finanziare sui 500 miliardi di debito, le nuove emissioni vengono a costare sui 7-8 miliardi in più, qest'anno e anche l'anno prossimo. In alcuni è cresciuto troppo: Usa, Gran Bretagna, Germania. La ripresa, di conseguenza, quando verrà, sarà lenta e difficile proprio per l’eccessivo peso del debito in rapporto al pil. Nei maggiori paesi industriali, Usa, Giappone, Germania, la disoccupazione è ai record storici, e non ci sono segnali di un suo rapido riassorbimento. La produzione ristagna in quasi tutti i paesi occidentali, presa nel circolo vizioso del calo della domanda, pubblica a privata.
La liquidità straordinaria, iniettata dai governi e dalle banche centrali, è stata indirizzata, non c'è chi non lo veda, verso impieghi a loro volta liquidi, verso i vari listini finanziari cioè. Le banche hanno avuto buon gioco a giocare sui listini ai minimi dal dopoguerra - Unicredit è cresciuta in poche settimane di sette volte. Mentre irrigidivano le condizioni del credito alle attività produttive. Gli indici dell'inflazione in calo sono una conferma quasi notarile della sterilizzazione della liquidità: una catastrofe.
E ora sotto tiro il debito pubblico
È finita del resto, forse, la paura per i mutui non garantiti, se è vero che le banche sopravvissute sono tornate in bonis, ma non è finita la crisi. Le stesse banche che alimentano l’euforia dello scampato pericolo lo dicono anche, attraverso i loro araldi, il “Financial Times” e l’“Economist” nella City e il “Wall Street Journal”: adesso bisogna fare pulizia dei Pigs, i paesi troppo indebitati (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna – in realtà la I sta per l’Italia: cane non mangia cane, l’Irlanda non è sotto tiro). Con lo stesso meccanismo usato per i mutui non garantiti: gonfiarli, guadagnandoci, e guadagnarci sgonfiandoli. Le stesse banche che hanno favorito e finanziato l’indebitamento dei Pigs, tutti paesi europei, ora puntano a indebolire i loro protetti, per indebolire l’euro. Il premio per l’abbattimento dell’euro sarebbe enorme, tanto quanto per i paesi europei lo sconquasso che subiranno.
Le agenzie di rating confermano il progetto, ponendo sotto revisione, cioè rivedendo al ribasso, il rating del debito dei paesi europei più indebitati. Ogni economista sa che il debito non è mai troppo e non è mai troppo poco. La consistenza e la qualità si valutano in rapporto alla capacità di ogni economia di pagarne i costi. Ma questa capacità è oggetto di valutazione soggettiva, e su questa breccia irrompono le agenzie di rating, tutte legate ai maggiori investitori internazionali, peprsone singole e fondi. È così che il debito giapponese al 200 per cento del pil può essere ritenuto sostenibile, o quello americano al 150 per cento del pil, mentre quello italiano, attorno al 115 per cento del pil, può, se interessa a qualcuno dei soci delle agenzie, essere declassato e “venduto” – avvenne così nella crisi della lira nel 1992.
Quanto l’attacco all’euro partirà ancora non è deciso. Ma sarà più presto che tardi, forse questione di settimane. Il munizionamento è pronto. Dopo l’intenso fuoco di sbarramento operato da oltre un anno da “Ft”, “Economist” e “Wsj”. Non senza ragioni, naturalmente: ogni buona speculazione s'innesta su pilastri solidi. E il pilastro ora sembra essere la stessa impudenza dei banchieri centrali. Che più di tutti sanno dove la liquidità è stata indirizzata.
Pazienza per Bernanke, il capo dela Federal Riserve era in attesa della riconferma. Ma Draghi va oltre il tollerabile. Il governatore si giustifica col dovere di non creare sfiducia, che però non ha sentito quando alimentava il panico, suonando ogni mese la campana dell’indebitamento, e sibillando il crollo dei consumi e della produzione. Sente questo dovere ora che le banche, per prima la sua Goldman Sachs, tornano ai profitti e ai benefit di prima.
Bisogna dubitare della ripresa per questo stesso fatto: la sicurezza di impunità che dilaga nei banchieri. I profitti delle banche si fanno sui margini: interessi e commissioni. Che con la scusa della crisi sono state ovunque raddoppiate. Col benestare delle varie autorità di controllo, i Draghi. Non si rileva in nessun posto una ripresa degli impieghi, che al contrario languono. Né sarà marginale o indifferente l'attacco all'euro preannunciato.

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