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sabato 13 febbraio 2010

Letture - 25

letterautore

Conoscenza - I gesti del mestiere di scrittore Barthes assimila a un cerimoniale di scongiuro, dell’afasia natale - afasia o perdita delle memoria, che piano piano si riacquista, con fatica e in parte? Si può pensare la memoria non come una cosa che si accumula ma come una cosa che si svela. E la conoscenza come un ritrovamento della memoria – genetica, di specie, familiare, sociale. È una riacquisizione, poiché non si impara liberamente ma secondo canoni prestabiliti: le “leggi” della logica e dell’etica, i tabù, le credenze, la tribù, la famiglia. C’è infatti una conoscenza “normale” e altre forme irregolari. La norma (Pirandello) è la memoria?

Don Giovanni - Cesbron ne fa un giovane borghese sotto educazione sentimentale, alla Moravia: la mamma (Freud), la borghese da portare a letto (Marx), etc. Tutte cose che volgarizzano don Giovanni, il Novecento sarà stato un secolo semplificatore anche per questo, terribilmente rozzo.

Viene dopo Dio nel vocabolario. Ma è più tormentato.

“I sette dolori di don Giovanni”, il racconto di Vernon Lee, è la rielaborazione più originale del Don Giovanni: in un patto con la Bellezza (la Vergine delle sette spade, titolo originale), don Giovanni impegna, e quindi perde, l’inestinguibile lussuria.

Negli anni 1980-1990 le “polacche” in Sicilia e in Calabria ravvivarono l’istituto del matrimonio. Si chiamavano polacche ma erano anche romene, ucraine, moldave, eccetera, slave, donne dell’Est. Erano arrivate al seguito del papa Woytiła e dopo la caduta del Muro per fare il piccolo commercio e lavorare nelle case, e trovarono tutte, quelle che l’hanno voluto, un marito. Uno qualsiasi per loro era comunque meglio degli uomini ubriaconi e maneschi che lasciavano al paese. Erano ambite perché libere mentalmente (viaggiavano, fumavano, entravano nelle case) e amanti del matrimonio. Di ciò che il matrimonio dovrebbe essere: sesso, comprensione, compassione, aiuto vicendevole.
Un’eccezione, non si potevano dire donne Giovanne.

È un nobile philosophe, uno snob. È creazione letteraria. È un mito, come Werther, Robinson, Amleto, come Dante stesso, e già Virgilio. Creato nell’ambito del fas e del nefas (l’indicibile: mistiscismo, religione). L’equivoco nasce con Mozart (Da Ponte), col fatto che gli si apparenta Casanova, altro settecentesco come Mozart (Da Ponte). Da qui la contraddizione. Mentre Casanova e don Giovanni sono agli antipodi, nel rapporto con le donne. L’“odor di femmina” piace a Casanova, lo assoggetta.

Nel “Mito di Sisifo”, il trattato anti-suicidio di Camus, don Giovanni è uno dei tre “uomini assurdi”, gli “eroi” che sovrastano la vita. Camus lo vede in “una cella di uno di quei monasteri spagnoli remoti sopra una collina. E se guarda qualcosa, non sono i fantasmi degli amori sfuggiti, ma forse, da una feritoia cocente, qualche pian silenziosa di Spagna, terra magnifica e senz’anima in cui si riconosce”.

Più che l’amore, che ora sappiamo può essere monosessuale, o asessuale, dice la solitudine dell’innamorato. O: l’innamoramento, forma suprema di rapporto, di conoscenza, isola.

C. Alvaro, “Gente che passa”, pp.221 (“Apologhi per le donne”): "L’uomo che tu chiami libertino è una vittima di un amore infelice. Egli crede sempre nella donna, ma non più in una, alla donna in astratto: capelli, occhi, guance, collo, manisono per lui altrettanti continenti, mondi in un mondo. Egli non riesce a concepire più unitamente poiché il complesso di una donna gli si è rivoltato contro come cento forze diverse. Perciò egli ne adora gli elementi separati, si contenta di uno solo”.

Venezia è il posto di don Giovanni, più che la Spagna (Giono, “Voyage en Italie”, p. 135).

Giallo – Lo è la storia. Da sempre. Del Buono ne ha trovato le radici nella Bibbia, ma c’era già prima.

L’indizio, prima del paradigma indiziario, di Ginzburg, emerge quale uno dei due componenti della narrazione nel vecchio saggio di Roland Barthes, “Introduzione all’analisi strutturale dei racconti”, tradotto in AA.VV., “L’analisi del racconto”, 1969: è lo scarto, l’imprevisto, l’estraneo. L’altro componente, detto “funzione”, è invece la parentela, la familiarità tra i segmenti della sequenza lineare del racconto. Una distinzione che non cambia nulla ma spiega molto.

Repubblica – La Repubblica non sa scrivere. Non si applica, non pianta giardini né viali, non costruisce piazze né palazzi, sa fare film, sapeva, cioè luccicare. Per trovare un autore bisogna risalire a trent’anni fa, al primo Tabucchi. Montale, Gadda, Landolfi, Luzi, Moravia, Quasimodo, Ungaretti, Saba, Savinio venivano da prima della prima guerra. Pasolini si ricorda per la vita, come D’Annunzio, protomartire gay, e per alcuni film. Calvino è richiesto nel mondo come scrittore per ragazzi. Sciascia è buon narratore di apologhi politici, di una cosa cioè che disprezzava. Sotto l’incredibile Vittorini, un gigante in mezzo tanta truppa, la “poesia” è stata castrata. Poco il resto: franco-fortini e (s)balestrini, tanti. Cristina Campo, chi era costei? Arbasino è fottuto dalle cattive compagnie. Ripellino è morto. Piccolo e Tomasi sono stati ripescati da ultimo, senza inediti. E la critica? Contini ci ha lasciato in eredità Pizzuto.

Scrivere – È non avere pudore. Una delle forme della mancanza di pudore. Una delle più spregiudicate. Come la prostituta che esibisce fianchi, tette, cosce, lingua, lo scrittore esibisce le sue interiora, in forma di poesia e di filosofia.

In Oriente è aggiungere un po’ di sale alla vita, niente di più. È una delle forme della comunicazione, una cosa semplice. Non è ricerca della verità nel verbo - con gli esiti che ridicolizzano la letteratura occidentale: formalismo, rottura, ambiguità, circolarità, plagio.

È un esercizio sportivo individuale, una sciata, una passeggiata.

Lo “stranissimo” caso delle opere che vengono accantonate perché non rientrano in un modello. O non forniscono esse stesse, o i loro autori (Pound per Joyce, Brod per Kafka…) uno schema interpretativo. Miseria della critica.

letterautore@antiit.eu

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