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giovedì 30 giugno 2011

Gor'kij è un altro

È la prima proposta di un nuovissimo Gor’kij, postsovietico. Per ora senza seguito. A opera della russista Erica Klein, che in poche sapide pagine propone un convincente “altro” Gor'kij, ben diverso da quello dell’oleografia sovietica, e si avvale di una traduzione, a opera di Emanuela Guercetti, che fa di Gor'kij un grande scrittore, che si legge ancora come nuovo: passato alla storia come pilastro del sovietismo, è anche personaggio molto poco conformista.
È vero che a lui è toccato l’onore di tenere a battesimo il “realismo socialista”, al primo congresso degli scrittori sovietici, nel 1934, di cui fu presidente onorario per augusta decisione di Stalin. Ma era lo stesso anno in cui l’amatissimo figlio Max moriva in circostanze misteriose. Gor'kij conosceva dall’interno, prima e meglio di ogni altro, le tortuosità del potere sovietico.
È anche il protagonista di una biografia rifatta. Due volte: nella seconda è il prototipo della storia dell’Enciclopedia Sovietica. Nella prima, di cui questo “Infanzia” è il primo tassello (cui seguono “Tra le gente” e “Le mie università”), è il creatore di una fanciullezza tanto straordinaria da sembrare inventata, alla Dickens, alla Mark Twain, molto colorata nel senso dell’avventura, sebbene da povero tra i poveri, abbandonato, senza istruzione, eccetera. Ed è invece il racconto veridico della sua propria infanzia, coi nomi propri, a patire dal proprio, Aleksej Peškov. Nei cinque anni che visse a Nižnij, col nonno Kaširin. Nell’obbrobrio – la stupidità, l’ubriachezza, la sporcizia, le nerbate per i bambini. E la impensabile antropologia della Russia rurale ancora viva alla vigilia della guerra e della rivoluzione, con la prospettiva rovesciata, vista dal bambino (il buon selvaggio, il primitivo).
Maksim Gor'kij, Infanzia, Bur, pp. 301, € 10

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