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venerdì 1 luglio 2011

La verità di Nani, bella e intelligente

Un libro di articoli come non se ne scrivono più da trent’anni, da quando Enrico Nani Filippini li redigeva e “Repubblica” se ne faceva mostra. Pieni d’intelligenza, oltre che di onestà. A colloquio col vecchio amico Garcia Marquez ne penetra in breve il segreto della scrittura - e configura l’America Latina, ben definita, in rapporto a “noi”europei e allo stesso Nanni, che non si lascia intrappolare dal vecchio affabulatore sovietista. Il ritratto di Foucault basta da solo alla lettura. O di Simone Weil, così perspicace e ancora inedito. Da Sinjavskij estrae un pensiero tanto semplice quanto centrale all’Otto-Novecento russo, da Gogol a Dostoevskij, Tolstòj, Solzenicyn: “lo sdoppiamento dell’utile e del dilettevole” (“Non posso immaginare Proust che pianta tutto per insegnare a vivere senza mentire, mentre noi russi siamo sempre esposti a questa tentazione”, che non è male).
Nella felicità della bottiglia, che oggi non sarebbe possibile, il proibizionismo è radicale (morale?). Allora, 1980, si poteva ancora ridere, in Italia e su “Repubblica”, dell’accoglienza nel 1961 al “Buon soldato Scvèik”, di cui si dimostrava “che il personaggio tendeva a diventare, da anarchico, comunista, del resto in ossequio a una pia tradizione che risaliva a Erwin Piscator e a Bertolt Brecht…”. Nel saggio sulla “popolarità” tardiva di Popper non teme di dire, dietro la questione dell’irrilevanza delle scienze umanistiche in Italia dopo il 1918, la verità: lo studio sopraffatto dal politicismo. Senza dirlo, se non riservatamente, a chi sa leggere – Nanni non ha vissuto felice. Umberto Eco, che introduce la raccolta curata da Federico Pietranera, lo dice “arrogante nella vita” - ma non si offendeva se lo dicevano “Nani, che è quasi toscano e non lombardo-ticinese, non gliene fregava, aveva lo stesso sorriso distante.
Enrico Filippini, La verità del gatto

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