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sabato 10 settembre 2011

Secondi pensieri - 75

zeulig

Antropologia – Ha il vizio di ridurre le scienze a precetti (storici, morali, sociali, culturali). Specie quelle classificatorie. È il caso, ora faticoso, oneroso, distruttivo, della mafia e l’antimafia. Delle categorie interpretative fa camicie di forza. Dal primitivismo (magia, ritmo, sangue) all’omertà.

Dio – “Si Deus unde malum?” è una sua limitazione. Il male non lo nega ma lo limita. Anche nel male: si prendano i vizi o peccati della chiesa, Dio si può dire superbo, collerico, accidioso, perfino avaro, ma non lussurioso o invidioso, non avrebbe di chi, e non si saprebbe immaginarlo goloso, un vizio puramente corporale. Da dove vengono queste passioni?

Con che fondamento si può dire il Grande Nichilista? Sua è l’ontologia che si cerca e il pensiero del niente, non il nichilismo ma la religione. Il Filosofo è il Creatore, che crea dal Nulla, si sa, magari ritirandosi un po’ e mettendoci del suo, lo zimzum d’Isacco Luria: sua, di Dio, è nella metafisica la coincidenza di essentia e existentia, pensiero e atto. Il fatto è che, da Platone a Heidegger, è tutto un girare attorno a Dio, a ciò che non sappiamo e non possiamo dire - il tormento del diavolo. E che Dio ha fatto zimzum a favore del diavolo, e poi l’ha lasciato invidioso.
Ma può essere che, alzandosi tardi, non si vedono che tramonti.

Il pio Lévinas ci vuole scontenti in mano a Dio. I filosofi di Dio sempre lì ci portano, ad abbandonare ogni scelta concreta, ad abbandonarsi. Al rifiuto: è questo il rifiuto totale, l’anarchia conseguente.

Filologia – Non è innocente, e può essere pericolosa. Con Stalin fu perfino assassina.

Filosofia - È come la chiesa, c’è più fede nella chimica, la fisica, la biologia, l’astronomia. Perfino nella storia, anche se incerta. E non è bene, non per la chimica, la fisica, la biologia, l’astronomia. Per la filosofia?

Non dialoga. Nulla di più sconclusionato, anzi stupido, di una tavola rotonda o un seminario filosofico. Ma, come il piombino del vecchio muratore, si può portare attorno all’oggetto a variabile profondità, compattando anche scandagli altrui.

Nichilismo – È una reazione a Hegel. Una fine d’epoca, non altro. Il mondo che esso nientifica è quello di Hegel e dell’American Dream. Un oggetto un po’ troppo semplice, del genere soprammobile, i nanetti in giardino.

Il nichilismo, è stato detto, è il risve-glio la mattina dopo una sbronza. Un misto di mal di testa, con forte pressione sui vasi oculari, e di mal di stomaco, e più per il sonno agitato che per l’alcol nel sangue. In inglese è hangover, una sorte di autoimpiccagione.
I nichilisti storici erano credenti fervidi, i primi, Bazarov, Arkadij, quelli di Turguenev, fiduciosi in un mondo migliore. Oppure no: è nichilismo, come Jacobi obiettò a Fichte, mettere l’Io al posto di Dio, farsi capetti.

“L’essenza del nichilismo consiste nell’incapacità di pensare il I”: Heidegger, che meglio l’ha pensato, dice che neppure nulla siamo. La verità è dunque l’utopia adolescenziale della dissoluzione – se “non siamo nulla” e “non siamo neppure nulla” sono la stessa cosa non sono grande pensiero.
“Il puro essere e il puro niente è dunque lo stesso”, diceva Hegel. Al solito frettoloso: è oppure sono? E puro in che senso? per essere puri bisogna pur essere.
Se non che l’inutilità è del mondo che da sei secoli è iperproduttivo. In questo senso la verità del secolo può ben dirsi antiumanista. Russia, Italia, Germania, Spagna, la politica assassina va al passo con la sfida al mondo insensato, che si bolla del sapere tecnico, come fare i kilotoni. Heideggerianamente il nazismo – libertà di servitù – è risposta inadeguata a sconfiggere il modello che combatte. Ecco l’indicibile del Filosofo del Novecento: la reticenza è rabbia.

La filosofia, dice san Paolo, è follia agli occhi di Dio. E Dio non è folle? Quando esattamente si dannò il diavolo? È importante. E perché i bambini non ne hanno paura? O perché c’è sempre qualcosa, se c’è solo il niente? E come si fa a annegare nel niente, pensandolo? Questa si è già sentita. Nietzsche avrebbe voluto scrivere, nelle sue “transvalutazioni”, una “critica della filosofia come movimento nichilistico”. Non l’ha fatta, ma è presto detta. Nessuno, Omero lo spiega, è un trucco, poiché è qui a raccontarla.

Dio come Adonai, che è assenza, trasmigra dalla Bibbia nella metafisica tedesca, Heidegger compreso. È questo il vero nichilismo, quello della devozione e dell’annullamento di sé, non le bestemmiole di Nietzsche e dei fanfaroni suoi epigoni - tutti figli peraltro di Hegel e Hölderlin ragazzi a Tubinga amanti di Dio: per negare Dio bisogna prima affermarlo, ecco la bestemmia.
Dio avrà pure creato il mondo, ma l’ha abbandonato a se stesso. Questo sarà blasfemo ma è scienza del divino. Anche se essa confina per Kant col comico. Dio non è il signore della storia. Cassata è l’innocenza: le nascite, le morti, il bene, il male, questi ghirigori non appartengono a Dio. Dio s’è ristretto lo diceva già Luria nella sua cabala. Per lo zimzum, moto entropico, buco nero teologale, macinadei, Dio si mette sempre più da parte, lasciando il posto al vuoto, al niente, e all’umanità.

La salvezza nella storia è l’ateismo degli ebrei, che pretendono d’accrescere Dio con l’umanità, l’eternità col tempo – familiari di Dio, spesso lo irridono, come ogni nonno. Il nichilismo è contro l’uomo: è rimettersi agli ordini di un essere che non è mai esistito, di nessuna idea, senza corpo e quindi senza identità. Del diavolo, per restare in tema. Che altro è il diavolo? Quello che induce al peggio. Senza contare che, se la verità è l’abbandono devoto in Dio, il diavolo è quanto di meglio l’uomo abbia escogitato.

Si può pure dire così: Heidegger e Freud non sono materialismo critico, o critica intelligente del mondo, sono il desiderio di finirla. Che compiaciuto si compiange.

Storia – Si può dire che occulta il reale: il proprio della storiografia è d’inventarselo. Ma non c’è altro reale: la materia è sfuggente, il Big Bang è già storia.

Tempo – “Poi” viene il tempo nella creazione, ma già c’era. Non si nasce in realtà, e non si muore, si è dentro il tempo. Anche prosaicamente, si è sempre affaccendati, anche nell’ozio. Ma questo annulla il tempo: lo dilata, lo accorcia.
Il tempo è comprimibile, sia facendo che non facendo, e in durata – memoria, fantasia, ricostruzione – è estensibile senza limiti. Ma il tempo è senza capo né coda, la stessa storia ha problemi a definirsi di un tempo preciso, e quindi non è.
È questo il senso della vita. O della morte. L’eternullità che ha inventato Laforgue. O Falkenfeld, il kantiano: “Non posso credere che gli avvenimenti del mondo influiscano minimamente sulle nostre parti trascendentali” - che per questo non si può dire morto, dimenticato.

zeulig@antiit.eu

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