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venerdì 21 settembre 2012

A Sud del Sud - l’Italia vista da sotto (144)

Giuseppe Leuzzi

Campanella Carl Schmitt lo vuole barocco ( “Il Leviatano”, p. 57). Non ha mai pace. Rosario Villari lo deve difendere, con un libro di 715 pagine, “Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero, 1585-1648”: un monaco molto realista. Vittima del “sogno di libertà”, perché questa era l’aria a Napoli nel primo Seicento. Per quanto strano possa suonare. E con lui molti altri calabresi.
Per esempio l’economista Antonio Serra. Che per primo costruì la bilancia dei pagamenti, e scorse la debolezza del regno di Napoli nel deflusso costante di moneta a beneficio di banchieri e affaristi stranieri.

“Perché Dio ha fatto la Calabria?”, pare che Antonello Venditti si sia chiesto nel 2008, a un concerto in Sicilia: “Qui si trova la cultura, in Calabria non c’è veramente niente”. E ora che dovrebbe cantare in un paesino di Vibo Valentia annuncia che ci rinuncerà, perché è stato per quelle parole minacciato.
Ma Venditti non è il solo: l’ignoranza della Calabria è un fatto prima di tutto dei calabresi stessi, dell’odio-di-sé irreprimbile. Paesini calabresi di poche anime e nessun reddito pagano da giugno  a settembre ogni anno 40 e 50 mila euro per novanta minuti di canzoni di Venditti e altre vedettes – questa estate un migliaio di serate, 40-50 milioni buttati via.

L’autostrada si fa elevata
E allargata in Calabria,
per nascondere alla vista
i paesi dagli abusi sconvolti
o in tunnel ristretta
il più possibile stirati
senza altra necessità.

(Dice la rabbina Aiello che i calabresi sono almeno 40 per cento ebrei anusim, esuli):
Simm’anusim,
Insomma

La raccomandata da Palmi
Domenico Margiotta da Palmi rivive nell’ultimo romanzo di Eco, “Il cimitero di Praga”, autore di una guerra massonica tra le più violente in Francia, con i pamphlet “Souvenirs d’iun trente-troisième”, contro il capo della massoneria Adriano Lemmi, 1892, e il successivo “Le Palladisme. Culte de Satan-Lucifer dans les triangles maçonniques”. Prima di riconvertirsi alla chiesa, pupillo dei vescovi e porporati di Francia e Italia a fine Ottocento. Margiotta si riteneva miglior candidato di Lemmi, tardo adepto della massoneria, tardo adepto della massoneria (di cui era stato però tesoriere), alla carica di Gran Maestro, e rimproverava al suo avversario il proprio fallimento alle elezioni del 1888.
Eco trascura Lemmi, che invece sarebbe stato ottimo personaggio dei suoi complotti. Il futuro Gran Maestro s’era fatto imprenditore delle concessioni ferroviarie in vista dell’unità d’Italia, in società con Pietro Adami, due che Cavour giudicava “furfanti”. Adami e Lemmi avevano ottenuto dal governo dittatoriale di Garibaldi a Napoli il 25 settembre 1860 la con cessione delle ferrovie napoletane e siciliane per la loro costituenda Società italica meridionale. Cavour tolse dopo pochi mesi la concessione ai due. Che la riottennero ridotta alle ferrovie calabro-sicule. Per cederla infine definitivamente nel 1863 a un’altra società, la Vittorio Emanuele – che confluirà in una Strade ferrate meridionali.
Palmi ha dimenticato questo suo così notevole cittadino (ha una strada a lui intitolata dal un sindaco socialista ma non sa chi è). Eco ha tratto i suoi riferimenti dal capitolo X del libro di Arthur Edward Waite, “Devil worship in France”, del 1896 (leggibile liberamente in inglese su internet, a sacred-texts.com), intitolato “The vendetta of Signor Margiotta”. Che contiene altri riferimenti alle origini del personaggio. Come se vivesse tra  Palmi e Parigi.
Waite lo dice “personalmente in contatto con Miss Diana Vaughan”, la patrona, poi denunciatrice, del “palladismo”, una massoneria diabolica, nel culto di Lucifero: “Elogia le sue innumeri virtù  in pagine di eloquente scrittura. Si spinge fino a fotografare la busta di una lettera raccomandata che ha impostato a Palmi, in Calabria, indirizzata a quella signora a Londra”.
E in un altro punto, nella polemica contro Lemmi: “Per quanto riguarda la Massoneria Univesale, quando annuncia le sue dimissioni e la conversione a un rappresentante della loggia Giordano Bruno di Palmi, Margiotta gli rivela che lui e i suoi fratelli sono diretti, senza saperlo, da un rito supremo, e che lui Margiotta, Venerabile di quest’altra loggia, di cui era vero eletto e perfetto iniziato, costituiva l’anello di collegamento tra la massoneria ordinaria di Palmi e questo insospettato potere centrale. Nella stessa occasione inviò una lunga comunicazione a Miss Vaughan, nella quale afferma di avere sempre agito da massone onesto, fedele all’ortodossia”
Waite crede in Margiotta (anche la chiesa gli dà ancora rilievo, a chiesaviva.com). Se non che Miss Vaughan, opina Eco, non esisteva. E così è. Ne scrivevano molti, tra i manipolatori prezzolati che costruivano il complotto ebraico-gesuitico-massonico, ma lei non era a Londra, e nemmeno a Parigi, dove tanti si piccavano di incontrarla regolarmente. Era l’invenzione - un doppio, testimone comodo - di “Léo Taxil” (Marie Joseph Gabriel Antoine Jogand-Pagès), un Margiotta con più fantasia, e soprattutto di maggior successo, presso i massoni e i clericali. Margiotta invece dev’essere vero: la lettera raccomandata, con relativa fotografia, è proprio roba da Palmi, da avvocato.
Qualche dubbio alla fine ce l’ha pure Waite: “Il signor Margiotta può essere liquidato con tutte le sue carte, non perché imbroglione, ma perché singolarmente soggetto agli imbrogli”. Come quando racconta di un bellissimo pomeriggio a Castelnuovo in Garfagnana, nel giardino del confratello Oreste Cecchi, che sostiene di rivedere spesso una figura nota nello sguardo di un montone, che a uno sguardo più approfondito si rivelava come il Grande Architetto dell’Universo; e chiamata la bestia ne ottiene leccatine, sfregamenti e occhi lucidi. O a Napoli una notte in casa del Gran Maestro imperiale Giambattista Pessina, dove da una bottiglia di whisky si materializza Beffabuc, una figura umana, con una corona d’oro e una stella brillante nel mezzo della corona, ali di pipistrello e coda della classe bovina”.

Il posto
Nel ricordo commosso del padre appena morto, “Memoria e vita” del 1942, Corrado Alvaro fa una rivendicazione della nobiltà del padre-madre Calabria, e del Sud. Da un semplice fatto minimo trae in mezza pagina tutta la “storia del Sud”.
Il padre, maestro, non era un buon partito per la famiglia della madre – le cui sorelle erano state “date a pastori ricchi”: “Quando si presentò mio padre, fu combattuto da tutto il parentado”. Ci vorranno la grande guerra e i rivolgimenti successivi “per riabilitare nell’idea paesana gli stipendiati”. Quindi, in quattro frasi tutta la storia che non si fa: “Coloro i quali pensano all’Italia meridionale come a una contrada che ha per ideale di vivere a spese dello Stato, riflettano a come è nata tale disposizione. Non è qui il luogo per tracciare quella storia dolorosa, né per dire come la nostra parte di meridionali nel miliardo annuo che fruttava l’emigrazione, assorbita dalle grandi banche attraverso il sistema delle piccole banche locali, adoperato per fondare la grande industria, e non precisamente da noi, fu alla fine distrutto attraverso le piccole banche che fallirono puntualmente travolgendo tanta economia meridionale faticosamente conquistata. Priva d’industrie, rovinata, divenuta un terreno di sfruttamento dell’industria non locale, al livello di poco più di una colonia (qui, nell’italiano faticoso, indignato, l’oggetto-soggetto è femminile, la Calabria, n.d.r.), si capisce che la sola speranza fu il pane dello Stato. Dico queste cose brevemente per i signorini che reputano l’Italia meridionale economicamente e intellettualmente  una contrada di moretti convertiti…”.
“Memoria e vita” apre “Il viaggio”, la raccolta di poesie che Alvaro assemblò a monumento del padre, che lo avrebbe voluto poeta, “per tutto ciò che è disinteressato nel mondo”. La raccolta è stata pubblicata da Anne-Christine Faitrop-Porta per Falzea. 

leuzzi@antiit.eu

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