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giovedì 29 novembre 2012

Secondi pensieri - 125

zeulig

Corpo - La sessualità liberata ha tendenza a elidere il corpo, con l’anima.

Crisi - La libertà era il fiume degli antichi, quello dei moderni è la storia, spiega Arendt, secolarizzata: l’uomo è volano della storia. Il totalitarismo per questo, e ogni unità, foss’anche in Dio, non ha campo. Ma da oltre un secolo il mondo subisce la democrazia e la tecnica come esiti d’una storia che non è più opera sua, se il mondo è Europa, che non è più perciò storia. Viviamo in epoca tarda, la poststoria degli apocalittici. Da revenants, fantasmi afflitti, essendo morti, se la materia è neutra come vuole la fisica. Per questo siamo freddi: l’aria c’è ancora, ma di particelle asettiche. Se non che il passato è reale, e può essere zavorra.

Dio – È femmina da qualche tempo, per il politicamente corretto rovesciato, femminista dopo essere stato maschilista. Ma Dio è femmina da tempo. I profeti sono maschilisti, ma la Bibbia è maschile e femminile. E Gesù non è un profeta.
Maria è theotokòs, madre di Dio, dal quarto secolo, per volere di Cirillo, il vescovo di Alessandria, dopo riflessione nel deserto. Cirillo le donne altrimenti le sbranava, Ipazia e le altre. La filiazione divenne ufficiale nel 431, al concilio di Efeso, che proclamò Maria “madre di Dio” e non più solo di Gesù, dal momento che “Cristo, Dio e uomo, è una sola persona”. Adam de Saint-Victor lo riaccertò nel dodicesimo secolo, che definì la Madonna “Mater pietatis et totius Trinitatis nobile Triclinium”, madre di bontà e nobile letto della Trinità tutta. L’Annunciazione è dunque una sorta d’incesto. E diffuso è il pensiero che sarebbe bene lo fosse. Ne sono epitome i “Racconti di due vecchi gentiluomini”, che Karen Blixen ha estratto da “Albondocani”, il romanzo italianato à tiroirs al quale lavorò molti anni senza venirne a capo, portando all’argomento motivi pastorali, psicologici e fisiologici - il sangue della vergine martire, della sposa, della madre.

La donna vuol’essere amata, esclusivamente. E pastora suona meglio di pastore, come nel vecchio motivo “il pleut, il pleut, bergère”, piove, piove, pastora. Se non che, talvolta, la donna si stanca e cornifica l’uomo, e la cosa non si sa se va con o contro la teologia femminile. Di Cristo invece non si può dire. I Magi vennero ad assicurarsi che fosse un ometto, e il dibattito sulla circoncisione, da san Bernardo a Lollio, lo accertò: la teologia dell’incarnazione si conferma anche nel sesso. Il Cristo delle donne, d’iconologia bizantina, è roba gnostica, eretica. Forse per questo le donne, seppure sono Dio, tendono a non essere cristiane.

Falso – La “falsificazione” è con Popper la procedura di accertamento corrente della verità. Ma si può prenderla anche in modo più semplice (leggero). È saggezza corrente ma non falsa che si possono accertare i falsi ma non si può accertare la verità: la verità è evidente. Con riscontri correnti ma anch’essi non falsi.
Nel dominio del falso, dell’artificioso, della disinformazione, gli ostacoli da abbattere per arrivare alla verità sono infiniti, perché sono sistemici. Nel calcolo, in qualsiasi tipo di calcolo, dalla matematica alle convenienze, la difficoltà è solo logica. Nella storia si sa per l’esperienza dei falsi, molti dei quali costruiti in buona fede. Il sistema di falsi costruito su piazza Fontana è inteso a escludere una verità accertabile in tribunale. Non ci si potrà arrivare neppure per caso - la verità non è processuale. La verità è una controprova, la prova del falso. Con limiti puramente etici. Si prenda ancora piazza Fontana: è discutibile se un attacco allo Stato soddisferebbe il desiderio di rivalsa di chi lo vuole coinvolto nelle stragi, o almeno nella morte di Pinelli, poiché quella rivincita passa per l’accertamento della verità, è sete di giustizia.

È il falso che ha bisogno di sorprese e diversivi, nuovi falsi, continue propalazioni. L’una più sor-prendente della precedente. Fino a un climax: un evento o trauma che mandi agli atti l’invenzione del falso, di quel particolare falso. Una guerra, un terremoto, una morte eccellente, o un falso maggiore tra i tanti.
Conviene a volte tenersi all’evidenza, a una sfida che venga lanciata. Non che la prova logica sia errata, finché uno non ci crede: mette il nemico in allarme, ma gli fa perdere tempo per la difesa.

Ironia – Pazienza e ironia sono le qualità del rivoluzionario, dice Lenin. Il “liberalismo ironico” è per Rorty la giusta posizione. Quella che fa dell’individuo astratto “un figlio del proprio tempo”, concreto, attivo. L’individuo che non la adotta “rischia di perdere il senso della finitezza e della tolleranza che risulta dal capire quante visioni sinottiche ci sono state e quanti pochi argomenti si possono dare per scegliere tra loro”. Ma il parodista che vede tutto in parodia ci mette più che uno sguardo: un modo d’essere.
Il lettore del parodista (Proust) fatalmente vede tutto in parodia, anche dove essa non c’è. La storia di Albertine, per esempio, mille pagine di parodia? Oppure se ne assume la triste verità, per una comune malinconia: rifiuto del mondo, dell’umanità, della vita. Una forma di misantropia e non la formula della socievolezza.

Reale – Il passato è reale. Anche la vita (il presente) lo sarebbe: la vita c’è, ottime leggi naturali ne consentono, se non l’eternità, l’iterazione – il che è Dio, “Dio è la verità e la vita”, ma è fuori tema.
Dice Sartre che “il passato è la totalità sempre crescente dell’in-sé che noi siamo”, che non vuol dire niente. Ma se il passato non si connette non per questo non c’è. Col senno di poi non si fanno errori, ma neanche la storia esisterebbe. Sarà realtà illusoria, ma la illusione è parte della storia. Tutankhamon è bello per effetto della tomba ritrovata. Con gli ori a ventiquattro carati e le maschere adulatorie. Mentre era nano e rachitico. Il vice-vicebibliotecario di Moby Dick può rinvenirsi vivo nella grammatica. “Nella Storia, le streghe le hanno impiccate.\ Ma io e la storia\ troviamo gli incantesimi di cui necessitiamo, ogni giorno”, Dickinson l’attesta, che nessuna sventura piega.
“La vita va capita all’indietro ma vissuta in avanti”, dice Kierkegaard. In realtà funziona al contrario, la vita è già vissuta, solo resta da capirla per l’avvenire. Ma l’oscillazione c’è, un costante seppure lieve mutamento di scena.

Riso – È liberazione dal male: l’hilaritas è in Plinio segno di salute. E dal divieto, sempre esteso, turbando il riso il regno dei morti - i serissimi fratelli Boemi, o Moravi che fossero, uccidevano i reprobi col solletico.  Non si ride nel mito, nel tempo lento della divinità diffusa, che è pure dei figli rifiutati, Edipo, Mosè, Romolo e Remo. “Un vivo penetrato nel regno dei morti non deve far vedere di essere vivo”, spiega Propp: “Ridendo, egli rivela di essere vivo”. Ma per lo stesso motivo si ride molto nell’antichità, dopo Omero e lo scemo Margitès. Omero ha pure un “riso della terra verdeggiante”. Democrito rideva sempre, il primo materialista, “l’uomo che ride” di Luciano. Finché non emerse la “forza magica del riso”, che le fiabe attestano sia nell’uomo che nella natura - anche se, avverte Propp, “la fiaba è una delle materie più ardue dell’indagine scientifica”, e la speciale commissione del congresso dei filologi di Lund, nel 1932, “ha dovuto constatare che lo studio scientifico della fiaba è in un vicolo cieco”, in assenza dei filologi sovietici, della chiave del materialismo dialettico.

zeulig@antiit.eu

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