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domenica 25 novembre 2012

Le botteghe di cartavelina

Schulz è una leggenda. Per il modo come visse e scrisse. Grafico rinomato ma scrittore privato, mai uscito da Drohobycz, ora in Ucraina, e tuttavia in contatto coi migliori scrittori polacchi dei suoi anni, Witkiewicz, Gombrowicz. E per il modo come morì. Nel 1942 gli ebrei a Drohobicz, tra essi Schulz, erano divisi in “appartenenze”, tra due caporioni SS. Finché Felix Landau, uno dei due, non uccise un dentista protetto dall’altro, Karl Günther. Per vendicarsi Günther uccise Schulz, che lavorava come pittore per Landau: lo incontrò per strada e gli sparò due colpi di pistola alla testa. Così ne racconta la fine il biografo Jerzy Ficowski. Schulz aveva cinquant’anni. Ma anche la sua morte, dice David Grossman, che la indagò personalmente in Israele con l’ultimo testimone oculare della vicenda, resterà una leggenda.
Della leggenda di Schulz sono parte, dagli anni 1970, i suoi racconti. Una trentina, in due raccolte, quella del titolo e “Il sanatorio all’insegna della clessidra”, più “La Cometa”. Pubblicati da Schulz tra il 1935 e il 1938. L’edizione del 1970 fu presentata da un (quasi) entusiasta Ripellino (che riprese la presentazione in “Saggi in forma di ballate”). Cataluccio ripubblica la traduzione canonica di Anna Vivanti in una sorta di opera omnia, con i saggi critici e politici- tradotti da Vera Verdiani e Andrzej Zelinski. Che hanno in effetti molti punti d’interesse. E con l’aggiunta del “Libro idolatrico”, di Schulz illustratore - di donnine discinte, come usava dire.
“Maturare verso l’infanzia” è il tratto distintivo che Cataluccio trova in Schulz. In linea con la “giocoleria” che divertiva Ripellino. Anzi, “una grande giocoleria metafisica”, metà Chagall metà Chaplin, scrive Ripellino. Che lega l’immaginifico dei racconti alla “pittoricità” di Schulz illustratore e della Secessione polacca. Ai racconti chassidici – forse senza l’arguzia? A Kafka, di cui Schulz fu traduttore in polacco. Al contemporaneo Mandel’stam di “Rumore del tempo” e del “Francobollo egiziano”, e più in generale “all’acceso metaforismo dei poeti russi del Venti”. Tutte cose che si ritrovano alla rilettura ma non risolvono. Cataluccio trova anche una “sorprendente vicinanza” di Schulz teorico con la “Scienza Nuova” di Vico: “Il mito è la testimonianza del primo linguaggio”. Che però non c’è nei racconti.
Burlesco, a tratti, Schulz ha il merito di sottrarre il Padre, il vilain di quasi tutti i racconti, a un caso di Alzheimer, come oggi lo si liquiderebbe. Ma facendone una figura di cartavelina, senza spessore. Troppo per una trentina di racconti, che solo le stagioni intervallano, peraltro anch’esse ripetitive, e il blando desiderio della serva di casa, la sola in carne. Grossman, scrivendo di Schulz tre anni fa sul “New Yorker”, ha usato come titolo “L’età del genio”, da uno dei racconti. Gli anni 1930 non si possono dire tali per uno scrittore ebreo, ancorché polacco, ma ne dicono bene la temperie culturale.
Schulz è fine scrittore di prose d’arte. Di vena surrealista, nei procedimenti e nei temi. Ha Eresiarchi, scarpine feticcio, tempi trascoloranti, materie che si dissolvono e spiriti che si materializzano. La nota estensione inerte (meccanica) dell’immaginario, prolissa più che fantastica – Daumal, anche Roussel, più che Kafka. Alla rincorsa dei “libri-leggende, libri mai scritti, libri-eterni pretendenti, libri erranti e perduti in parti bus infidelium…” – in “Primavera”, il racconto più prolisso di tutti. Il Libro è anche l’album dei francobolli – sempre in “Primavera”. O Anna Csillag, Anna Stella in italiano, che propaganda una lozione per capelli: breve, questa, ma “inferiore” all’originale, riprodotto in tutte le lingue dell’impero cacaniano, tedesco, italiano, rumeno, russo, polacco, ceco, etc.. In una col “signor Bosco di Milano, sedicente maestro di magia nera”. E con la “cinica e perversa Magda Wang” antroposofa di Budapest. Perché, si sa, “tante sono le vicende non nate”. Tutti personaggi, questi, del racconto “Il Libro”. Che svolge un sillogismo: “Gli esegeti del Libro ritengono che tutti i libri abbiano come meta l’Autentico. Essi vivono soltanto una vita presa a prestito… Ciò significa che i libri diminuiscono, mentre l’Autentico cresce”.
Italo  Calvino, in breve, nel risvolto della prima edizione, lo dice: “Due immagini dominano queste pagine: quella del Padre-Demiurgo e quella del Libro: il libro assoluto, totale, l’Autentico”. Ma non è un’assoluzione.
Bruno Schulz, Le botteghe color cannella, Einaudi, pp. 530 € 24

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