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giovedì 24 ottobre 2013

Appalti, sanità, difesa, ecco la spesa inutile

Si nominano in successione “eminenti” tagliatori di spesa, Cottarelli dopo l’inutile Bondi, che lasciano passare qualche mese, incassano la consulenza, e se la squagliano col solito ammonimento: la spesa non si può tagliare. Invece di dire: è impossibile rifare i conti. Perché questi controllori non hanno e non possono avere una contabilità loro. Devono fare riferimento ai centri di spesa. I quali tutti non sono nati ieri e sanno come giustificare, intagliabili, ognuno le sue spese. Per cui l’unico rimedio possibile è il taglio lineare, che non risolve e aggrava le sperequazioni.
È uno degli equivoci legati alla figura taumaturgica del “tecnico”, che nella finta democrazia italiana è automaticamente gratificato della qualifica di bello-e-buono, direbbe Platone, della nazione.  L’unico intervento possibile dovrebbe essere parlamentare. Cioè politico. Sugli appalti e sulla sanità. Perché questi sono i due bubboni della spesa pubblica sono. Si sa. E si sa anche come e perché. Ma non si interviene, perché la politica è parte del sistema di corruttela.
Ogni appalto viene a costare almeno il doppio, e mediamente il triplo, del valore a progetto. Più gli oneri connessi alla dilatazione dei tempi di realizzazione, che anch’essi raddoppiano, come minimo, e più spesso triplicano. È superfluo dire che “in Europa” questo non succede. Gli appalti sono un sistema anche di corruttela, oltre che di sprechi: nessuna azienda europea di costruzioni si avventura in Italia, dopo i primi infruttuosi tentativi quindici anni fa, quando il capitolato europeo divenne legge, negli appalti delle metropolitane e dell’alta velocità.  
Degli sprechi della sanità si sa tutto. Il sistema delle farmacie, l’eccesso di personale non qualificato,  portantini e barellieri, i difetti e gli errori di progettazione. E naturalmente gli appalti: si fanno creste enormi nelle asl su ogni appalto, dalla rianimazione al cotone idrofilo.
Il terzo settore d’intervento, di dimensioni minori ma nell’ordine di un paio di miliardi, riguarda la Difesa. L’Italia continua a mantenere forze armate pletoriche in tempo di pace. E fa da una ventina d’anni delle guerre che, sia pure a bassa intensità e a fini di pacificazione (ma c’è una guerra per la guerra?), tengono impegnati l’equivalente di una paio di Corpi d’armata nella guerra guerreggiata. In posti remoti. A costi molto elevati per la logistica e l’uso dei mezzi, se non per il munizionamento. E per le retribuzioni, essendo le guerre di pace contabilizzate alla stregua della cooperazione allo sviluppo, con diarie e indennità di trasferta, alloggio, pasti, festivi, ferie non godute, etc., in genere forfettizzate in 3-4 mila euro mensili. 

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