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sabato 26 ottobre 2013

L’inutilità dell’utile

Ora dominante, nella forma del debito con le banche e le finanziarie, ma non da ora: la signoria dell’utile nella forma del denaro era irrespirabile già nel Settecento. Ordine cita Rousseau: gli “antichi politici parlavano senza posa di costumi e di virtù; i nostri non parlano che di commercio e di denaro”. E Diderot: “Tutto ciò che non è utile viene disdegnato, il tempo è troppo prezioso per perderlo in speculazioni oziose”. O già nel Cinque-Seicento, con lo Shylock di Shakespeare. Ma ora certo con più durezza, la nostra vera storia è contemporanea.
Ordine ripropone il quesito: “I debiti contratti con le banche e con la finanza possono avere la forza di cancellare con un solo colpo di spugna i più importanti debiti che, nel corso dei secoli, abbiamo contratto con chi ci ha offerto in dono uno straordinario patrimonio artistico e letterario, musicale e filosofico, scientifico e architettonico?”  Con la tradizione dunque? Oltre che con la ricerca, la libera educazione. In supporto agli appelli recenti di Settis e Martha Nussbaum - e alla polemica carsica, in questi giorni sul “Corriere della sera”, da quando Paolo VI abolì il latino dalla chiesa, dopo 18 o 19 secoli, cinquant’anni fa. Con un pamphlet che Ordine, infine “scoperto” da Milano,  ripropone con aggiunte e rifacimenti in italiano dopo la straordinaria fortuna riscossa in Francia – dove vanta un vasto catalogo, in collaborazione con Yves Hersant, e un nome rispettato: titolare di Italiano all’Università di Cosenza, lo studioso forse maggiore di Giordano Bruno, è editore dei classici delle Belles Lettres e ha avuto la Legion d’honneur. Con un saggio di Abraham Flexner, il pedagogo sperimentale americano, uno dei fondatori dell’Institute for Advanced Study di Princeton, che documentava nel 1937-39, con aneddoti e con l’esempio dello stesso Istituto princetoniano, come la scienza insegni molto sull’utilità dell’inutile.  
Dell’ignoranza
Si può cominciare con Victor Hugo - cui si deve il titolo, tratto dai “Miserabili” - che spiega alla Costituente del ’48: “Qual è il grande pericolo della situazione attuale? L’ignoranza. L’ignoranza più ancora che la miseria”. Che ora non c’è, almeno speriamo, mentre l’ignoranza è fatta legge, con la riduzione dell’università, ricerca e insegnamento, a modeste attività liceali. V. Hugo qui si può leggere da p. 119 in poi – “la notte può scendere anche nel mondo morale”. Ma è una delle tante “cime” che Ordine traccia, con conoscenza sicura e spigliata, inanellando una serie di citazioni fulminanti, brillanti, spiritose, prima che vere, tra i poeti, i filosofi, gli storici, gli scienziati, sulla necessità-utilità della libera ricerca, della libertà di pensare, sulla possibilità di esercitare tale facoltà. Facendoci fare un bellissimo giro fra le migliori letterature, a cominciare dall’aneddoto semplice di Vincenzo Padula, il narratore calabrese dell’Ottocento, a cui il padre insegna la differenza tra la “a”, di avere, e la “e”, di essere - col merito non secondario di recuperare il reietto Ionesco. Lo “Zibaldone” Leopardi progettava come “Enciclopedia delle cognizioni inutili”, e “Lo spettatore fiorentino”, il settimanale di cui per un breve periodo fantasticò tra il 1831 e il 1832, sul principio che “il dilettevole sia più utile dell’utile”..
Un saggio antiutilitaristico, senza mai nominare Bentham – come forse sarebbe stato opportuno. Bisogna “resistere”, conclude Ordine, “alla dissoluzione programmata dell’insegnamento, della ricerca scientifica, dei classici e dei beni culturali”. Senza liquidare, sarebbe stato più opportuno, l’utilitarismo. Che è tra noi, è lo stesso modo della sopravvivenza, dei classici compresi e della ricerca. E la stessa logica del possesso, che al di fuori dell’ascetismo, e in tutte le forme sociali, è ingrediente necessario della conservazione – del rispetto degli altri se non di noi stessi (lo studente della scuola, per esempio, muri compresi, la scuola sua e quella degli altri). Forse il tradimento è degli intellettuali e non dei banchieri, dei mediatori dell’opinione pubblica, i letterati compresi, al mercato direttamente, indirettamente al conformismo, di cordata, di gruppo, di parrocchia, a cui si sacrifica la creatività, e quindi la libertà.
Della protervia
Politicamente, Ordine si lega al protervo “diritto di avere diritti”, la tarda deriva rodotiana dei burocrati del ’68, quelli che assunsero il movimento senza capirlo. Una deriva che è invece all’origine dell’eclisse della democrazia, come di ogni altra forma di cultura. Ma svolge la sua traccia, oltre che con i classici, di cui è profondo e amabile conoscitore, con Bataille, col suo interminato-bile “Il limite dell’utile”, la logica “antidirittuale” del dispendio, e soprattutto con Tocqueville, Keynes, e la stessa Nussbaum. Che negli Usa - Tocqueville in anticipo, Nussbaum in conclusione - e nel sistema pedagogico americano sentono forti i limiti del democraticismo sregolato. Ora nelle forme del finanziamento anzitutto, della ricerca e dell’insegnamento intesi alla procura di fondi. Nel mezzo, Ordine ricorda Keynes, che nel 1928 profetizzava “un secolo almeno” di sottomissione agli “dèi del male”, avarizia, usura e avidità.
Parliamo dell’inutile che è utile, e anzi indispensabile. Un richiamo all’ordine, cioè ai classici, cioè alle humanitas, che, purtroppo, non è il primo. Ma qui non c’è da dubitare, nessuno dirà mai di no, alla qualità, al gusto, al bello, all’arte, all’ingegno. Mentre la peste è un’altra, non il rifiuto del bello, che nessuno rifiuta, o dell’inutile, da cui tutti siamo affezionati. È lo scadimento del gusto, che trascina lo scadimento del giudizio. Tanto più insidioso ora, rispetto a Rousseau e Diderot, per legarsi alla democratizzazione, al processo di  inclusione sociale là dove una funzione magisteriale non c’è o non si vuole. Per esempio nella Calabria dello stesso Ordine, dove l’“abusivismo di necessità” dilaga, anche contro le regole e gli stessi carabinieri, talmente è incontestato-bile, un anarchismo kamikaze.
Con più incisività nella seconda parte, Ordine pone la deriva dell’università. Il degrado dell’università infetta anch’essa di shortermismo – il risultato subito. Dello studio ridotto all’insulsa e invadente morbilità del “fatevi bene i conti”, che in questo caso è delittuosa. E della sbagliatissima, agli stessi fini utilitaristici, riduzione dell’università a un promovificio: con la separazione della ricerca dall’insegnamento, e la riduzione dell’insegnamento alla promozione del più gran numero di studenti, si rende inutile lo studio. Sembra una barzelletta, e lo è. Ma è anche l’ideologia imperante dell’organizzazione accademica, sull’esempio degli Usa. Dove però il sistema si dichiara in crisi, mentre l’Italia se ne compiace.
Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile, Bompiani, pp. 265 € 9

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