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martedì 15 luglio 2014

Fu Prodi a volere l’Europa germanica

Sommerso dall’euroscetticismo, il decennale del raddoppio dell’Ue è passato inosservato, due mesi fa. Ma vale ancora quanto se ne poteva scrivere all’epoca:
“E dunque abbiamo infine, come forse doveva essere per la geografia, se non dei corsi e ricorsi storici, un’Europa germanica. In un colpo solo entrano nella Ue otto paesi solidamente “tedeschi”: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovenia – più Malta e Cipro, per la solita copertura mediterranea. Ai quali si aggiungeranno tra un paio d’anni altri due satelliti di Berlino, Romania e Bulgaria. Con Austria, Finlandia, Olanda, Belgio fiammingo, Liechtenstein, e anche, alla fine, la Svezia e la Danimarca, l’Europa è ora solidamente germanica.
“Questo esito è forse inevitabile, ma non lo era subito. E nel tempo avrebbe potuto essere regolato da contrappesi. Né si può eccepire, poiché è stata ed è l’Italia, con Prodi a Bruxelles e la presidenza italiana di turno dell’Unione, ad avere accelerato il processo. Per la solita retorica europeistica? Non innocente, però: il ministero degli Esteri, la Confindustria e molti economisti sanno bene di che si tratta. Tanto più che il resto dell’Europa è vincolato a Berlino dall’euro – a tutti gli effetti una sorta di moneta straniera, a cui ciascuno è legato da un cambio fisso, senza più alcuna flessibilità (possibilità di riequilibrio del cambio sulla base delle partite correnti con gli stessi paesi estero-europei).
“I nuovi accessi sono inoltre cento milioni di consumatori prevalentemente di merci tedesche. E un mercato di lavoro, manuale e qualificato, legato più alla Germania, per fattori storici, geografici e linguistici, che a qualsiasi altro investitore europeo. La delocalizzazione si può fare ora in Germania in territori che sono a tutti gli effetti pratici (trasporti, comunicazioni, marketing) tedeschi, anche se di diversa madrepatria. Come mercati e anche come potere dissuasivo: la delocalizzazione, ora che è un fatto semplice, può definitivamente scardinare il mercato del lavoro in Germania. Peraltro ingessato tra una protezione sindacale robusta, e cinque milioni, poco meno, di disoccupati (che in Germania sono reali, non coperti dal lavoro nero)”..

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