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venerdì 18 luglio 2014

Il mondo com'è (181)

astolfo

Aspettative – Dominano il mercato, il mercato politico, specie europeo e intra-europeo, e la comunicazione, e anche la psicologia. Le cosiddette “reazioni kaleckiane”, ipotizzate da Michael Kalecki, 1943, nel saggio ‘Political Aspects of Full Employment”, che legano le decisioni degli investitori al grado di fiducia che essi nutrono per le politiche. Diventano dominanti nel momento in cui invece si manifestano labili e pregiudiziate: la crisi in corso ormai da sette anni non ha avuto altre cause che le aspettative erronee indotte dallo stesso mercato – non le cause di fatto che movimentano il ciclo: consumi, prezzi, produzione.

Crisi – L’ha provocata il “mercato”, ma la cosa è dimenticata e la si imputa, se ne imputa la persistenza, ai freni che sarebbe stati imposti al mercato.
In passato a lungo se ne è data la colpa, specie nella grande Recessione, al mercato: all’avventurismo, alla speculazione. Mentre in quella in corso, ormai da sette anni, se ne dà la colpa ai governi, quasi ne fossero all’origine, e comunque per essere incapaci di contrastarla. La speculazione che la provocò, delle grandi banche, è dimenticata o trascurata. I nuovi e più prudenti regolamenti delle transazioni, con al centro il Financial Stability Board, di cui è stato primo animatore Mario Draghi, sono stati abbandonati come censori o vessatori. E si fomenta l’opinione che la crisi perdura per una mancanza di fiducia. Non dei consumatori o piccoli risparmiatori, ma dei giganti della finanza nei riguardi degli Stati e delle loro politiche: le “reazioni kaleckiane” (M.Kalecki, 1943,“‘Political Aspects of Full Employment”) o aspettative degli investitori, sono deboli o negative perché gli Stati non danno affidamento. Non della stabilità del guadagno, evidentemente, ma delle “aspettative di guadagno”.  

Debito – Gli Stati lo hanno moltiplicato a partire dal 2007 e lo moltiplicano in favore del mercato.
È il senso della crisi e probabilmente il nodo che ne impedisce una soluzione.
Nella prima fare del mercato, da Thatcher-Reagan al 2007, gli Stati s’indebitavano per motivi politici, per finanziare comunque alcuni servizi pubblici essenziali. Nel 2007 si sono super-indebitati per salvare  le banche e i mercati, la speculazione. Habermas, “Nella spirale tecnocratica”, p. 72, dice il debito speculare al mercato: “L’onda lunga del crescente indebitamento statale può essere letta come l’altra faccia delle restrizioni che il neoliberismo ha imposto alla libertà d’azione degli Stati nazionali”.

Decadenza  - È curioso che l’Europa discuta della Mogherini mentre ha due guerre alle porte, con centinaia di morti. È curioso anche che faccia finta di nulla quando, a giorni alterni, nel canale di Sicilia si ripescano decine di cadaveri di africani o asiatici morti nei barconi. È curioso che Renzi e i media cinguettino con Grillo, ogni giorno per lunghe paginate, senza nemmeno sapere su cosa, mentre l’Italia è in recessione da quattro anni ormai. O che il ministro tedesco del Tesoro, invece di stare zitto e cauto come sempre fanno i ministri del Tesoro, faccia ogni settimana le pagelle all’Italia. Non sono novità, non è da ora che la finis Europae è in cammino. Ma c’è una notevole resistenza, insieme alla costanza, nella decadenza: i fatti e i segni si accumulano della decadenza, senza eccezioni e senza intervalli, ma la morte tarda ad arrivare. Per una sorta  di auto accanimento terapeutico. Magari non voluto, ma nei fatti.
Santo Mazzarino, l’antichista, lo aveva rilevato nella lunga decadenza di Roma: tutti scappavano, ma le mura reggevano.  Colpi inferti dall’esterno e dall’interno all’impero si accumulavano senza mai un segno inverso. La coscienza della decadenza contribuiva anch’essa, per una sorta di accumulo psicologico. E tuttavia l’impero non crollava.

Imperialismo – “Le oche si vantavano con le galline perché le loro antenate avevano salvato Roma dando l’allarme dal Campidoglio quando i galli avevano tentato di entrare dalle mura. Una gallina disse che se al posto delle oche ci fossero state le galline forse li avrebbero fatti entrare e così Roma, conquistata dai galli, sarebbe stata il più grande pollaio del mondo”. È uno degli apologhi per ridere di Luigi Malerba, “Le galline pensierose”. Ma c’è alcunché di inspiegato, se non casuale, nell’imperialismo. Nella logica dell’imperialismo non solo, che è un affare sempre in perdita, di uomini e di risorse economiche - ne profitta o alcuni ma a spese del proprio paese
L’imperialismo è avventura, anzitutto, e spirito di conquista: ferocia. È anche organizzazione. Ma poi non si spiega perché la Germania, che ha tutto per essere la padrona dell’Europa, centralità, popolazione, dall’Islanda al Po, organizzazione, e un’opinione sicuramente imperiale (superiorità), non ci riesca. Mentre gli anglosassoni, recalcitranti, provinciali, pasticcioni, dominino il mondo da un paio di secoli almeno, dall’Elba o da Waterloo.   

Pubblico-privato – La privatizzazione delle funzioni pubbliche, della stessa Pubblica Amministrazione (Luigi Mazzella, “Euro crash”), in favore delle Aurorità e del mercato,  e dei servizi pubblici in favore di convenzioni private, del terzo settore, del volontariato, trova una base ideologica, se non un precedente in von Hayek. Che da ultimo, una quarantina d’anni fa, spinse il suo liberalismo fino all’abolizione della democrazia in favore del libero mercato e del libero gioco delle libertà. Non propriamente della democrazia, ma della sua sostanza: della funzione pubblica come espressa dai governi e dai parlamenti, sia pure elettivi.
L’apparenza sembra andare in senso opposto. L’Europa, per esempio, oggi è governata da una burocrazia non elettiva, dalla Commissione alla Corte di Giustizia. E tuttavia è vero il contrario: sono burocrazie la cui costituency è il mercato. Cioè le forze private (aziende, gruppi d’interesse, gruppi di pressione) che perseguono un interesse di parte e limitato. Si dovrebbe dire che il liberalismo si realizza nella burocrazia, nei poteri non elettivi e non controllabili?

Risentimento – Si guardano i videoappelli dei redattori dell’“Unità” contro la chiusura del giornale con sgomento più che compassione.  Per il risentimento che malgrado tutto esprimono , anche nell’appello ai buoni sentimenti, Tanto più per venire dopo le celebrazioni di Berlinguer, che del risentimento fu ed è l’ispiratore. Non un’autocritica. Neppure ironica, scherzosa. Mai neppure un’idea, una proposta politica, di governo, di idee, che dia un fondamento alla pretese di dover esserci. Dopo aver distrutto in venticinque anni l’università, la giustizia, il Parlamento, i giornali, da troppo tempo a loro affidati dai furbi padroni, e il partito. Soli, oggi, sotto i sarcasmi di Santanché e  Ferrario. Gente limitata, si potrebbe pensare, poiché non ha capto e non capisce, Ma si pretende giudice del mondo,pur avendo vissuto alcuni dei peggiori pateracchi della storia.

astolfo@antiit.eu

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