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venerdì 18 luglio 2014

La poesia non salvó Melville

“Annichilito”, come disse a Hawthorne, dalla certezza che con i romanzi e i racconti non ce l’avrebbe mai fatta, dopo l’insuccesso di “The Confidence Man”, 1857, e prima di rinunciare impiegandosi alla Dogana di New York, dal 1866 al 1885, Melville provò per un quinquennio con la poesia. Erano gli anni della guerra civile, e esordì con una raccolta “Battle-Pieces”, su cui Roberto Mussapi ha costruito questa antologia. Integrandola con la nostalgia del mare del tardo poema “John Marr”.
Si capisce che le speranze di Melville fossero mal riposte. L’antologia si segnala per “The Martyr”, l’elegia (“the passion of the people”) in morte di Lincoln, “ucciso alle spalle”, “nel suo rigoglio di clemenza e calma”.  “Bursting” è il fonema più ricorrente, scoppiare. Ma anche nella guerra civile il mare in Melville non è assente – è il trademark.
Un’edizione tal quale, senza sostegni: nomi, luoghi, date, eventi, contesti. E un’antologia modesta. Ma un caso da manuale di traduzione creativa: l’originale e la traduzione sono due poesie diverse, di due poeti anche diversi. Conciso, conchiuso (rime, assonanze, allitterazioni, echi, anglicamente monosillabico), quasi rassegnato Melville, combattivo, polemico, incitatorio Mussapi – in un caso, “The manof-war-hawk”, è l’inverso.
Herman Melville, Poesie di guerra e di mare, Oscar,  remainders, pp. 129 € 5 

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