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martedì 15 luglio 2014

Il romanzo di Berlinguer

Verso la fine c’è un aneddoto promettente: “All’asilo di mio figlio un bambino ha detto che era arrivato tardi perché i taxi non c’erano a causa di un uomo cattivo che si chiama Berlusconi”. I bambini all’asilo in taxi non è male. Ma il programma è un altro, la celebrazione di Berlinguer.
Piccolo e il premio Strega vogliono il libro un romanzo, ma è atto di fede, in Berlinguer naturalmente e contro Berlusconi, nelle “magnifiche sorti e progressive”. La prima parte, molto lunga, si chiama “La vita pura: io e Berlinguer”, la seconda “La vita impura: io e Berlusconi”. Leopardianamente: accontentandosi. Da un punto di vista, direbbe l’ex papa Ratzinger, “relativista”: il comunista puro si sposa Chesaramai, e a lei si adegua. Non alla leggerezza, ormai calviniana e quindi impegnativa, ma alla superficialità, quasi saviniana. Quasi: se Savinio cioè fosse stato morso dalla politica, come in fondo lo è Piccolo, lui che era contro il profondismo, e se Piccolo si fosse attenuto alla sua cifra, che è l’ironia.
Invece il libro è più di testa che di cuore, nella chiave autofictiva imperversante - ci manca solo che Piccolo ci si descriva al cesso (o questo cè già?). E anche sciatto, una lunga lettura di giornale. A spese di Berlusconi naturalmente, con cui pure Piccolo fa affari, di cinema e di edizione, ma anche dello stesso Berlinguer, una controfigura e una macchietta. Col corredo, niente sorprese, di tutte le cose che sappiamo, non ne manca una. Il figlio comunista di un padre fascista. Il rapimento Moro. Le monetine a Craxi. Tutto per il verso “giusto”, cioè scontato, secondo il vecchio copione.
Uno si aspetterebbe che Moro venisse fatto rivivere per la “geometrica potenza” dell’agguato, o per la successiva condanna a morte, di amici e familiari senza testa. A Caserta i Piccolo abitano accanto al carcere femminile, ma la cosa non è di rilievo – la cosa si segnala quando ci finisce Sofia Loren.  C’è il referendum contro la riforma della scala mobile, piatto – “mi portò a identificarmi in modo totale con Berlinguer”. A meno che non sia ironico. Come si subodora del “Caimano” di Moretti, a cui Piccolo lavora per un anno e mezzo, con mille letture, indagini e discussioni, per poi segnalare l’anticlimax (Moretti lo chiama “cortocircuito”) del Caimano che incita alla ribellione con la faccia di Moretti. O, nel pieno del libello contro Berlusconi, dire la sinistra “la parte più reazionaria del Paese”, tarata dalla “superiorità morale”. Sembra un’illuminazione sulla via di Damasco, a proposito della berlingueriana “diversità”, o “alternativa democratica”: “L’idea di respingere un’epoca intera a causa di Berlusconi, derivava dall’idea di respingere un’epoca intera a causa di Craxi”, un’imbecillità. Ma Piccolo non cade da cavallo.
Si fa premio Strega peraltro, e si arriva all’ultima pagina, contro tre controindicazioni. È parte del revival Berlinguer, per il trentennale e come addio al Pci (il TUTTI del titolo è quello, anche nella grafica e nel colore, de “l’Unità” per il funerale di Berlinguer), nel momento in cui i “comunisti” (“perché sono comunista” è il tema di Piccolo) diventano renziani, che pure dovrebbe essere peggio di “craxiani”. Piccolo è scrittore satirico, e il lettore è portato a considerare l’atto di fede una presa per il culo, come lui scriverebbe, un’abiura, un’apostasia segreta. Il libro è stato pubblicato e portato allo Strega da Einaudi, cioè da Berlusconi. Non da lui personalmente, dalla sua organizzazione – che bravo.
“Il mio romanzo piace perché non è snob”, dice Piccolo. A Berlinguer alludendo, e allo stesso Berlusconi benché sempre vivo nei tribunali, come a un piccolo mondo antico. Però, vivendo i due, in un “romanzo” si può, Berlinguer avrebbe pubblicato e fatto votare allo Strega un’apologia di Berlusconi? Che c’entra, è la risposta, Berlinguer è una persona per bene. Ma non è la sola differenza, o anche la libertà di stampa e d’opinione è cosa morta? La risposta risolutiva è che è il commercio. Ma allora è come diceva Constant, che il commercio è meglio della guerra. Con la subordinata che il borghese ne sa più del militante – è più furbo ma anche più intelligente, ne capisce di più.
Una generazione prima di Piccolo, il lettore ricorda anche che il Pci si era specializzato nei funerali, da Malaparte a Pasolini. Specialità gesuita, aveva denunciato l’abate Gioberti un secolo prima. Il culto dei morti non può che apprezzarsi, ma l’accostamento è pruriginoso.
Francesco Piccolo, Il desiderio di essere come TUTTI, Einaudi, pp. 264  € 18  



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