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giovedì 18 dicembre 2014

La Resistenza come ossessione

“L’aria, l’acqua, la terra è d’amor piena..”: la Resistenza, faticosa, rischiosa, solitaria, povera, contro i tedeschi onnipotenti sotto l’occupazione, al suono del Petrarca, che Elsa elegge a metà racconto sulla strada per Avignone, che sarà la “sua” città. Un racconto elegiaco. Commosso e rassegnato, alla durezza comunque della vita. La Resistenza come l’eroismo delle piccole virtù. Molto romantico anche, e quasi sentimentale. Al confronto la nostra letteratura della Resistenza, seppure alluvionale, in ragione inversa probabilmente alla pratica effettiva, rinvigorisce, per nitidezza e forza di umori. E tuttavia più vero – oltre che, probabilmente, reale.
Non c’è nemmeno Aragon, il compagno-compagno che avrebbe dovuto essere piuttosto lui il protagonista di una racconto della Resistenza. Anzi, il merito di Elsa è di riconoscere che i partiti in armi fecero poco, pur facendo qualcosa – altri non fece niente, Sartre a Parigi eccetera. Rivendicherà in chiave partitica qualcosa in una tarda prefazione, nel 1962. In particolare di aver varato per il partito Comunista, ora il suo partito, in questo racconto del 1943 l’etichetta “partito dei Fucilati”, che il Pcf adottò anonima nei manifesti e nei tesserini di iscrizione, nel 1944 e nel 1945, “Aderite al Partito dei Fucilati”. Nella stessa prefazione spiegherà: “La letteratura della resistenza  sarà stata una letteratura dettata da un’ossessione e non da una decisione fredda”. Un’ossessione era l’impegno politico: “Era il contrario di ciò che si descrive d’abitudine col termine impegno, era la libera e difficile espressione d’una sola e unica preoccupazione: liberarsi d’un intollerabile stato di cose”.
Pubblicata a Parigi illegalmente, nell’ottobre 1943, dalle Éditions de Minuit, è una storia d’amore di una persona normale, una segretaria d’ufficio. Dell’amore sacrificato al dovere. Che è faticoso e grigio: viaggiare su e giù senza riposo, in terze classi dove è difficile anche stare in piedi, prendere camere sporche e fredde in pensioni sordide,  e consegnare fogli e lettere del cui contenuto si è tenuti all’oscuro, a persone anonime, che non si conoscono e non si manifesteranno. Una storia d’amore e di stanchezza. Di una routine senza smalto senza fine. Con una prolungata apologia di Avignone, città di Petrarca, e un’altrettanto lunga esecrazione di Lione, in ragione delle piccole passioni vissute o negate.
Un’esperienza di piaghe e debiti, di vergogne, la fame e il gelo compresi, non la solita marcia vittoriosa, dopo l’escursione in montagna, verso il ballo popolare. La tarda prefazione Elsa intitolerà “Alla clandestinità”, e sarà l’unica nostalgia. Una prova di racconto della Resistenza tutta particolare. Premio Goncourt alla fine della guerra, nel 1945, tradotto nel 1948 da Einaudi, uno dei primi “Coralli”, forse il dopoguerra era diverso.

Elsa Triolet, Gli amanti d’Avignone 

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