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domenica 14 dicembre 2014

Il malocchio di Khomeini

L’autrice è una che si denudava da bambina a scuola per indispettire le maestre bacchettone di Khomeini. Perché lei è nata a Teheran, sotto Khomeini, e questo l’ha segnata. Anzi, è nata prima dell’avvento di Khomeini, nel 1977: due anni appena, ma bastanti ad acquisirla a un altro Iran, e questo è il problema.
Non è il solo, altri problemi sono qui posti, con l’esilio essendo Abnousse finita a otto anni in ristrettezze materiali, e in una mezza periferia parigina di gente da poco, razzista comunque, anche quando si vuole antirazzista, e di chiusi orizzonti. Da cui lo snobismo di un’antica cultura e di una famiglia intellettuale non la protegge. Ma soprattutto si espone, in filigrana sul fondo limaccioso dell’ira, la rabbia e la forza dell’esilio. Della mutilazione che per nessuna colpa i “barbuti” e le “cornacchie” di Khomeini impongono alle iraniane. Impongono grazie a un fondamentalismo anche femminile – per una volta qui si attesta la verità: a opera di insegnanti, bidelle, guardiane, e mogli, madri, figlie, con gli uomini assenti.
Una resa dei conti col khomeinismo, principalmente. E con la famiglia, con gli amici, con se stessa. Anche con la famiglia propria, disadattata più che avventurosa, e con le zie, con lo zio, col nonno materno manolesta – respinto da Abnousse dodicenne con una ginocchiata. Con una tradizione culturale che è una gabbia più che una protezione. È questo, in controluce, il dramma dell’Iran, più che la colpa dei “barbuti”: la remissività di una cultura antica e vigorosa, di tremila anni di filosofia, poesia, urbanità, che si cancella. Sotto “un regime politico”, aggiunge l’autrice, “che non è parte della nostra cultura”. Questo non è vero. E non è un male. Ma il khomeinismo lo è: oscurantista e violento.
Cancellare Dio per cancellare i “barbuti”
Non è Montesquieu rovesciato: è il racconto di una persiana a Parigi, ma non di una saggia. È uno sfogo più che un racconto, in forma di selfie, come usa. Debordante. Disinibito ma incontinente e volentieri becero, un pamphlet interminabile alla Fallaci. E tuttavia non si può non essere con lei: la cancellazione della donna a opera del falso imam è abominio. I lunghi insistiti capitoli iniziali sono un diario beffardo dell’ottusità, e dell’amorfo conformismo nel quale una nazione antica e ottanta milioni di persone sono state precitate e si tengono, ormai da quasi mezzo secolo – “l’infagottamento di Teheran”, più stridente nella nevrotica capitale. Di fulminea perspicacia dove la rabbia è sbollita: bastano otto righe per spiegare le “sciocchezze” scritte da Foucault a favore di Khomeini (mette l’Iran tra i paesi coloniali…).
Il problema è la libertà, che l’Iran cercava sotto lo scià inetto. Un bisogno di cui Khomeini si è fatto scudo per imporre al paese la sua barbarie. Già allora, andrebbe aggiunto, con l’aiuto decisivo -  come per tutte le avventure successive e fino ad oggi dei “barbuti” nel Medio Oriente e Nord Africa - della Cia e gli altri servizi segreti occidentali.
E Sade, in questo Iran? Viene in coda, scoperto in progressione erotica: dopo la “cattiva” madame Merteuil dei “Legami pericolosi”, dopo Pierre Louÿs, e dopo “Teresa filosofa” e gli altri libertini del Settecento. Al culmine di un percorso di liberazione mentale più che corporea. Una scrittura “sinistra, equivoca e maculata”, in cui però la giovanissima Abnousse si tuffa senza paura per una luce che v’intravvede. Di cui fa subito tesoro in esergo: francesi ancora uno sforzo, la religione che vi propongono è empietà, artificio di preti.
Il marchese va in argomento per una volta dritto al punto, e Abnousse cresciuta, cultrice della materia, non se lo lascia sfuggire, così riassumendolo: “Tutte le religioni limitano la donna nel nome di Dio e per rispetto verso di Lui”. Essendo arrivata con Sade alla scoperta di sé con la scoperta della donna. Del corpo della donna come bastione della libertà, del proprio corpo. Si vuole atea per aver rovesciato la sessuofobia della chiesa, ma più per avere scoperta questa prima irrinunciabile difesa. Con Sade viene ricordata Laura. Ma non Petrarca: Abnousse è troppo arrabbiata.
I conti vengono qui fatti con tutti, in realtà, non solo coi “barbuti” di Khomeini: la guerra, le donne, in Persia e in Francia, le zie, il razzismo, l’antirazzismo, Liane de Pougy, meglio la Belle Otéro, Zidane e i Bleus (la Nazionale di Francia), Le Pen padre, con rispetto, Le Pen figlia, Dio naturalmente, gli immigrati retrogradi, sfrontati, violenti, i piccoli francesi rosiconi - dopo avere accolto e naturalizzato per secoli mezzo mondo, questo Abnousse se l’è perduto. Dalla parte volentieri del torto forse per dare più richiamo all’argomento, alla materia dell’argomento. Che è l’occhio: la malia, la fobia dell’occhio.
L’occhio malocchio
L’awra, l’atto di cavare l’occhio”, è tutto ciò che è osceno e va coperto: dalla parte alta del petto alle ginocchia per l’uomo e tutto il corpo per la donna. Ma è poi l’occhio-malocchio: “L’occhio diviene il nemico numero uno. Il malocchio è in tutti gli occhi”. Un libertinismo femminile avocando come arma di liberazione.
Il lungo sfogo Shalmani tesse come una filosofia del velo - la parola non è eccessiva: complicata. Tragicomica. Troppi casi ha visto di ritorno al velo, perfino in Francia, perfino a Parigi, tra i suoi amici e nella stessa università. Non c’è un cammino della redenzione, si salva chi vuole.
Nell’edizione originale l’autrice campeggia in copertina per la bellezza – imponente nella capigliatura, che la “teologia” islamica, anche quella laica di Bani Sadr purtroppo, vuole celata. Ma ha argomenti, e con questi soprattutto si batte. L’editore Grasset definisce il libro “gioioso pamphlet”, o giocoso, e tale è al fondo. Ma scaglia frecce acuminate.
Quella di cui resta di dare conto è l’Iran, di cui l’autrice non vuole avere memoria – troppe sofferenze. Per chi di quel paese ha una propria memoria, la personalità di Abnousse se non il suo libro sono ancora una consolazione, nel deserto indotto dal khomeinismo. Le sofferenze dell’essere persiana sono sociali, il razzismo a Parigi non escluso, psicologiche, personali e familiari. Ma “Khomeini, Sade e io” le vuole anche storiche, la storia facendo svanire sotto il khomeinismo. E come è possibile?
Di questa cancellazione peraltro Abnousse è vittima e artefice, tre millenni di una delle culture più ricche del pianeta riducendo al “Ta’zieh” sciita, il poema del sacrificio, e al “Ta’zieh” di Kiarostami a Parigi. Forse perché lei stessa è Nuovo Cinema Iraniano, alla Kiarostami, nelle sue due prove di regia, gli episodi di “Paris, la métisse”, 2005, e “La Dictionnaire”, 2009, in cui privilegia la bambina, che col padre impara il francese e la vita leggendo “I Miserabili” e i grandi libri delle parole. Ma assurdo: una come lei non è nata nel nulla, e non per caso.
Abnousse Shalmani, Khomeini, de Sade e io, Rizzoli, pp. 318 € 18 

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